I lavori manuali di routine e di inserimento dati saranno i più esposti al rischio di automatizzazione
La disoccupazione tecnologica è un fenomeno sempre più rilevante nel mondo del lavoro di oggi. Ma che cos’è la disoccupazione tecnologica? Si tratta della perdita di posti di lavoro causata dall’automazioneÈ l’insieme dei sistemi e delle operazioni (specialmente elettronici) che rendono automatico un processo produttivo o di funzionamento, eliminando, del tutto o in parte, l’intervento dell’uomo. More e dall’adozione di nuove tecnologie, come robot industriali e intelligenza artificiale. Con l’avvento di questi avanzamenti, molte mansioni tradizionali rischiano di essere sostituite da macchine e software intelligenti.
La polarizzazione del mercato del lavoro è una delle principali conseguenze dell’automazione. Le mansioni ripetitive sono quelle più a rischio di sostituzione da parte dei robot o più in generale dalle macchine.
Secondo lo studio “Future of Jobs Report 2023” del The World Economic Forum, a livello globale i robot compiono il 34% dei lavori, mentre il restante 66% è svolto dagli esseri umani. La tendenza, però, è a favore delle macchine, che porteranno a un aumento mondiale della disoccupazione del 2%, pari a 14 milioni di posti di lavoro.
Su un articolo del New York Times, fanno riflettere le parole dell’economista Daron Acemoglu del MIT (Massachusetts Institute of Technology), il quale sostiene che l’eccessiva automazione è uno dei principali fattori di questa crescita della disuguaglianza, superando perfino l’impatto della globalizzazione e dell’indebolimento dei sindacati.
Secondo Lawrence Katz, economista del lavoro ad Harvard, per evitare che la disoccupazione tecnologica colpisca sempre più lavoratori è opportuno che tecnologia, istruzione e formazione si muovano insieme.
Per quanto riguarda la disoccupazione tecnologica in Italia, le analisi divergono sui numeri, ma trattandosi di stime potenziali, ciò è facilmente comprensibile.
Un’analisi dell’Osservatorio CPI dell’Università Cattolica stima che nel nostro Paese il 14,9% dei posti di lavoro è a rischio di automazione nei prossimi 15 anni.
Tuttavia, un dato molto più pessimista è presente nel report di Confartigianato chiamato “Intelligenza artificiale, un cambio di paradigma”, dove si stima che il 36,2% dei lavoratori italiani rischia di perdere il lavoro per colpa dell’intelligenza artificiale e dell’automazione.
Inoltre, uno studio condotto dai seguenti tre ricercatori Mariasole Bannò, Emilia Filippi e Sandro Trento, dell’Università di Trento, ha stimato che quattro milioni di lavoratori rischiano un demansionamento, mentre 7 milioni di persone sono a rischio licenziamento.
Intervistato da Agenda Digitale, il professor Trento ha specificato che rispetto ad alcuni anni fa, per via dell’AI anche chi ha una mansione che prevede un titolo di studio elevato è a rischio disoccupazione.
Sempre il professor Trento crede che la disoccupazione tecnologica in italia si possa ostacolare o rallentare grazie a come sono organizzate le piccole imprese (che usano meno l’intelligenza artificiale), al fatto che molte aziende sono a conduzione familiare, e al fatto che settori presenti in Italia come agri-food, moda e calzature utilizzino meno le nuove tecnologie rispetto ad altri settori.
Secondo Enrico Cazzulani, segretario generale dell’AIDP (Associazione Italiana per la Direzione del Personale), le mansioni manuali semplici e ripetitive o quelle impiegatizie di basso livello sono le più vulnerabili. Il rischio aumenta per chi ha un’istruzione inferiore alla scuola media ed è in giovane età. Negli over 65 il rischio diminuisce, perché la maggior parte dei lavoratori di questa fascia ha ruoli più strategici e meno operativi.
Le professioni più difficilmente automatizzabili sono quelle che richiedono l’applicazione di competenze specifiche e prevedono la gestione di altre persone. McKinsey ipotizza che solo il 5% dei lavori potrà essere del tutto automatizzato e che, per ogni posto di lavoro perso nei settori legati alla tecnologia, ne nasceranno altri 2,1. Questo suggerisce che l’automazione potrebbe creare nuove opportunità lavorative, soprattutto in settori emergenti.
Tenendo conto dell’analisi dell’Università Cattolica citata nel precedente paragrafo, le mansioni più a rischio includono quelle nei settori della logistica e dei trasporti, dove l’automazione potrebbe sostituire compiti manuali ripetitivi.
Il già citato report di Confartigianato “Intelligenza artificiale, un cambio di paradigma”, invece ipotizza un altro scenario. Sostiene infatti che le mansioni più a rischio in Italia per la disoccupazione tecnologica sono le seguenti:
Il report specifica, inoltre, che le regioni più colpite dalla disoccupazione tecnologica in Italia sono Lombardia, Lazio, Piemonte, Valle d’Aosta, Campania, Emilia-Romagna e Liguria.
Per gestire i sistemi di robotica e intelligenza artificiale saranno necessarie nuove competenze. Avranno un notevole sviluppo alcuni gruppi di lavori del futuro, tra cui operatori sanitari, educatori e creativi.
Le competenze saranno quindi una fondamentale carta da giocare nel mercato del lavoro per trasformare l’intelligenza artificiale in opportunità. Sarà necessario allineare i bisogni del mondo dell’occupazione ai sistemi di istruzione e formazione perché nascano i professionisti del futuro, capaci di governare un contesto di forte e rapida innovazione tecnologica.
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