Si moltiplicano i marchi che puntano sull’online, ma modificare il canale di vendita non basta. Ecco le strategie innovative per risollevarsi dalla crisi
Dopo una primavera tra le più funeste che la storia ricordi, il mondo della moda si appresta ad affrontare un inverno non meno duro. Dai direttori creativi delle più note griffe italiane e straniere arrivano appelli corali a rallentare, a rivedere i modelli di business, a trovare strategie innovative in grado di rispondere alle nuove esigenze dei consumatori. I negozi fisici chiudono uno dopo l’altro, soprattutto nelle città che fino a qualche mese fa potevano vivere di turismo. Per contro avanza e si evolve l’e-commerce, che per alcuni potrebbe diventare non più un canale di vendita secondario, ma il principale.
I fattori di crisi si susseguono da mesi, uno concatenato con l’altro: prima il panico che ha portato all’arresto del turismo, poi il lockdown primaverile, le collezioni rimaste invendute in magazzino, la necessità di rallentare i ritmi frenetici e, fondamentalmente, produrre meno. Il settore moda è certamente tra i più colpiti e questo ha avuto un impatto pesantissimo sui negozi fisici, vetrina irrinunciabile per molti grandi marchi. Ma in brevissimo tempo le priorità sono cambiate. E così Gap ha già annunciato la chiusura di 120 negozi in Europa, di cui 11 in Italia. Il gruppo Awwg (ex Pepe Jeans) pigia l’acceleratore sul programma di trasformazione “Re:set”, che prevede la ristrutturazione della rete di negozi, negoziazione degli affitti, chiusura del 10% dei punti vendita. H&M è pronta a chiudere 250 store nel 2021, ma segnala vendite online cresciute quasi del 30%. E così Inditex, multinazionale spagnola proprietaria di Zara, ha annunciato la chiusura di 1200 negozi in tutto il mondo, per dare più spazio alle vendite online.
Qualcuno parla di modello Nike, colosso dell’abbigliamento sportivo che, senza saperlo, contro la pandemia ha giocato d’anticipo. A novembre del 2019, infatti, la società aveva già annunciato l’uscita da Amazon in favore di altre piattaforme, per controllare le vendite online da canale diretto. Parallelamente, Nike aveva anticipato il taglio sui rivenditori. E su questo terreno si sono già mossi anche altri grandi marchi, non solo dell’abbigliamento: Birkenstock ha abbandonato Amazon per via della compresenza di prodotti contraffatti, mentre Bose, nota azienda del settore audio hi-fi, ha chiuso la metà dei negozi fisici per investire sull’online.
Ma l’e-commerce da solo non basta a rispondere alle nuove richieste del mercato, e i grandi se ne sono accorti. Nike aveva già brevettato “Nike by Melrose”: il negozio è un’esposizione su misura, con i prodotti preferiti dai clienti della zona. In questo caso, la parte West Hollywood di Los Angeles. Qui al controllo del canale di vendita si aggiunge il controllo dei dati, l’oro nero del nuovo millennio. In Cina, nel centro tecnologico di Shenzhen, è nato da poco il primo “luxury social store” di Burberry. Uno spazio di 539 metri quadrati suddiviso in 10 ambienti diversi, dove lasciarsi guidare dai sensi ma anche dalla tecnologia. L’obiettivo del concept è quello di far interagire retail fisico e virtuale, grazie all’esperienza offerta dai social media ed in particolare da Wechat, gemello di Whatsapp molto in voga fra gli asiatici.
E proprio questo potrebbe essere il futuro della moda che, secondo Anastasia Sfregola, sales manager per per l’Italia di Kooomo (piattaforma che aiuta le aziende a lanciare il proprio business online) va cercato in «piattaforme multichannel in grado di integrarli e capsule collection pensate appositamente per il mercato online». Secondo Sfregola, intervenuta sull’argomento con l’agenzia Agi, questi saranno gli «strumenti essenziali che riscriveranno le regole del mercato della moda. Inoltre per arginare ulteriori perdite, strategici saranno i pre-order. Infine, dovrà essere più marcato il senso di comunità intorno al brand, maggiore attenzione al cliente e “contatto umano” anche a distanza. Inizia l’era delle vendite online assistite con l’aiuto di virtual assistant e chatbot. La lezione è una: se non possiamo puntare su nuovi prodotti, dobbiamo investire su nuove strategie».