La bioplastica dagli scarti dell’industria del pesce

(foto James Dyson Foundation)

“MarinaTex” vince il “James Dyson Award 2019”. Risolve il problema della plastica monouso e dello smaltimento dei rifiuti ittici. Biodegrada in casa senza rilasciare sostanze tossiche

Nel progetto di Lucy Hughes, la ventiquattrenne vincitrice del “James Dyson Award 2019” la plastica si ricava dagli scarti dell’industria di trasformazione del pesce, non inquina e non viene prodotta da materie prime vergini, offrendo in parallelo una soluzione alle problematiche legate all’inquinamento dovuto alla plastica e all’inefficienza di alcuni processi di smaltimento del settore ittico.
«La plastica è un materiale eccezionale, per questa ragione ne siamo diventati dipendenti. Ma per me non ha alcun senso utilizzarla, – ha affermato la Hughes – è un materiale incredibilmente longevo, per prodotti che possono avere un ciclo di vita anche di un solo giorno». 

“MarinaTex”, si chiama così la bioplastica creata dalla studentessa dell’Università del Sussex dopo oltre un centinaio di esperimenti, è generata da resti di pesce, pelli e squame, e alghe rosse sostenibili, che hanno la funzione di legare le proteine estratte dai rifiuti ittici. Il risultato è un materiale in fogli traslucidi, flessibili e resistenti, che possono venire utilizzati per la produzione di imballaggi monouso, come sacchetti per i prodotti da forno e confezioni per i sandwich.
La Hughes stima che da un merluzzo bianco atlantico si possano ottenere rifiuti organici per 1.400 sacchetti di MarinaTex.

SMALTIMENTO NEL COMPOSTAGGIO DOMESTICO

Per la produzione della bioplastica sono necessarie poca energia e temperature inferiori ai 100 gradi. Quanto ai tempi di biodegrado, variano dalle 4 alle 6 settimane nel compostaggio domestico, senza il rilascio di sostanze tossiche, con la possibilità di concludere il ciclo di vita del materiale direttamente in casa, senza bisogno di passare attraverso impianti di smaltimento e trasporto dei rifiuti. Anche per queste ultime ragioni, MarinaTex è differente dai suoi competitor.
«Penso che MarinaTex rappresenti l’impegno verso l’innovazione e la selezione di materiali che incarnano i valori della sostenibilità, in questo caso, utilizzando risorse locali delle quali occorre perfezionare il ciclo di vita» ha commentato la vincitrice.

Il concorso internazionale dedicato agli inventori del futuro, studenti e neolaureati in ingegneria e design, partiva dal brief “Progetta qualcosa che risolva un problema” e premia i giovani capaci «di sviluppare tecnologie concrete capaci di cambiare la vita delle persone», con o un’attenzione particolare alla sostenibilità e alla commerciabilità dei progetti.
«Un ingegnere è un problem solver, per me un buon progetto deve riuscire a colmare il gap tra comportamenti sociali, business e rispetto per il pianeta» ha concluso la Hughes.

Il premio di 30 mila sterline permetterà alla giovane di proseguire nello sviluppo del materiale, con l’obiettivo di commercializzarlo su larga scala in modo sostenibile, e, perché no, magari trovando anche degli investitori, come è accaduto ad alcuni suoi colleghi vincitori delle passate edizioni.

 

Nel video Lucy Hughes racconta “MarinaTex”
(video James Dyson Foundation/youtube.com)

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