“L’importanza delle vaccinazioni, e di una comunicazione scientifica efficace”: Andrea Grignolio spiega come la scienza demolisca i pregiudizi
Le scienze comportamentali sono il punto di riferimento dal quale partire per comprendere le ragioni dei diversi approcci alla vaccinazione a cui stiamo assistendo. La storia conferma come il vaccino sia uno strumento straordinario per la tutela della nostra salute, e un’informazione corretta e fedele alla realtà è oggi importante per rassicurare le persone più resistenti e timorose.
Questo è stato il tema dell’ultimo degli incontri organizzati da SHR Italia, con il Patrocinio di Università Vita – Salute San Raffaele, dedicati al rapporto tra salute e lavoro, Lectures Series 2021. Le lectures sono state inserite nel progetto di ricerca “Behavior Change: Green, Healthy, Fair”, e hanno coinvolto alcuni dei protagonisti del mondo accademico e della ricerca.
Ad affrontare l’argomento è Andrea Grignolio, docente di Storia della medicina e Bioetica, che spiega come sia cambiato il comportamento delle popolazioni nei confronti dei vaccini nel corso dei secoli, suggerendo alcune strade da percorrere per rassicurare le persone ancora reticenti.
«Le malattie infettive esistono da sempre – spiega Andrea Grignolio –. La storia dell’umanità si è incrociata con la storia delle epidemie, a partire dalla peste di Atene nel 400 a.C., per arrivare all’influenza spagnola di un secolo fa. Tra tutte le malattie di cui l’homo sapiens ha sofferto, le pandemie sono quelle che incidono di più sul corso della storia, e sulle vicende della quotidianità, dalla sfera sociale a quella economica.
La numerosità degli eventi pandemici è significativa: sono stati molti, e molto aggressivi». Tutto è cambiato con la scoperta della vaccinazione da parte del medico britannico Edward Jenner, alla fine del 1700 che, anche attraverso lo studio e la ricerca di altri suoi colleghi portata avanti nei secoli successivi, ha consentito di salvare milioni di vite.
«Nell’ultimo secolo abbiamo assistito ad una vera ‘vaccine race’ – prosegue Grignolio –. Ogni tre o quattro anni si verifica la scoperta di un nuovo vaccino, e la società si rende conto che la vaccinazione può essere molto utile. Poi, improvvisamente, a partire dagli anni ‘80, la vaccinazione subisce una battuta d’arresto».
«Poliomielite, difterite, vaiolo, morbillo, tifo sono patologie scongiurate e sconfitte grazie alla vaccinazione ma, a partire dagli anni ‘80, le persone iniziano a manifestare una resistenza nei confronti dei vaccini, e una parte di genitori non li somministra ai propri figli – spiega Andrea Grignolio –. Esiste, quindi, una percentuale che oscilla tra il 5 e il 15% di persone che non vogliono vaccinarsi, ma sono disposte a dialogare, e poi vi sono i ‘refusals’, comunemente chiamati ‘no vax’, che rappresentano il 3%, ed essendo contrari al vaccino ideologicamente, non sono disponibili al confronto.
Ma quali sono i determinanti dell’esitazione? Si va dalla percezione del rischio, alla comunicazione da parte dei media, fino ad arrivare alla ‘public health’, ovvero come si comportano le istituzioni sanitarie rispetto alla gestione dei vaccini, e al sentimento della fiducia nei confronti del vaccino in questione.
Quindi, le tre grandi determinanti per contrastare l’esitancy sono: la fiducia nei confronti del sistema di produzione e di gestione del prodotto, la comodità nell’accesso al vaccino, e la soddisfazione in relazione al risultato, strettamente legato alla percezione della necessità di tutelare la propria salute».
«Per capire la resistenza ai vaccini manifestata in questo momento storico, basta tornare al 1880 quando, a causa di poliomielite, difterite, tifo, tubercolosi e vaiolo, almeno 4 bambini su 10 morivano entro il quinto anno di vita – racconta Grignolio – . All’epoca in cui mia madre era giovane, esistevano dei ‘social warning’ che ricordavano la ferocia delle malattie infettive: una donna col viso sfregiato dal vaiolo, piuttosto che compagni di scuola zoppicanti in conseguenza della polio. Nei Paesi in cui la ferocia è ricordata, non esiste esitanza vaccinale. Quest’ultima è propria di società ricche, che hanno dimenticato la ferocia delle malattie infettive.
La percezione sociale del rischio diminuisce perché diminuiscono le malattie infettive, ed ecco che accadono i fenomeni sociali di resistenza alle vaccinazioni. Ma calano i tassi di vaccinazione, e crescono le malattie infettive, e di nuovo si formano le code davanti ai centri vaccinali.
Oltre a non essere in presenza di ‘social warning’, si deve considerare la diversità del vaccino rispetto ad un farmaco: il primo è preventivo, mentre il secondo risolve qualcosa che già esiste. Ecco che muta la percezione del rischio: l’attenzione si sposta sulle possibili reazioni avverse del vaccino, dimenticando l’efficacia che esso avrebbe nel prevenire la malattia».
«Siamo una specie altamente irrazionale, selezionata per sopravvivere nella realtà, e non per capirla – chiarisce Andrea Grignolio –. La scienza, e i suoi dati controintuitivi, sono difficili da capire per il nostro cervello. La storia ci dice che abbiamo vissuto milioni di anni come cacciatori nomadi nella savana, per poi scoprire l’addomesticamento, 10.000 anni fa, ma senza avere il tempo per adattare la nostra struttura cerebrale a questo cambiamento. Come se ci trovassimo con un hardware vecchio, e un software nuovo che si deve adattare.
Gli psicologi cognitivi dicono che siamo disallineati con la modernità, ma è possibile colmare questo gap con alcune soluzioni che aiutino a ridurre la resistenza nei confronti delle scoperte scientifiche, vaccini compresi: «Bisogna intervenire sulle giovani generazioni perché, entro una certa età, è possibile intervenire sui cosiddetti ‘bias cognitivi’ – conclude Andrea Grignolio –. Dobbiamo spingere i giovani verso un’alfabetizzazione sanitaria e scientifica, e proponiamo un forum nazionale per monitorare la variazione dell’esitanza vaccinale».
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