La Corte di Cassazione, con la recente sentenza numero 30478 del 2021, si è pronunciata sulla legittimità di un licenziamento intimato per superamento del periodo di comporto. La particolarità del caso: il lavoratore aveva chiesto alla società quanti giorni mancassero alla scadenza del periodo di comporto, senza però ricevere alcuna risposta.
È onere del lavoratore contare i giorni di malattia e l’arco temporale in cui si sono verificati. Solo in questo modo il dipendente, che si trova a casa in malattia, può controllare se è stato o meno superato il periodo di comporto.
Ci riferiamo a quel periodo di tempo in cui il lavoratore ha diritto alla conservazione del posto di lavoro in caso di malattia. La legge non definisce la durata del periodo di comporto, ma demanda la determinazione della durata ai singoli contratti collettivi.
Ci sono due tipi di «comporto»:
Il conteggio dei giorni che mancano al superamento del periodo di comporto ha una duplice importanza.
Per l’azienda è fondamentale sapere quando scade il periodo di comporto e quindi a partire da che giorno è possibile licenziare il dipendente. Il licenziamento intimato senza il rispetto del periodo di comporto è illegittimo e comporta la reintegra del lavoratore.
Dall’altra parte, il lavoratore ha interesse a sapere quanti giorni mancano alla scadenza del comporto in modo da poter accelerare la guarigione, oppure rientrare al lavoro, oppure, infine, chiedere un periodo di aspettativa non retribuita.
Spesso il conteggio dei giorni in cui i lavoratori si assentano dal lavoro è un’operazione complessa. In tutto ciò, il lavoratore non può far affidamento nella collaborazione del datore di lavoro.
Nel caso sottoposto all’attenzione della Corte di Cassazione, il lavoratore aveva chiesto all’azienda quanti giorni mancassero al termine del comporto, senza ricevere alcuna risposta. Anzi, poco dopo al lavoratore è stato inflitto il licenziamento per superamento del periodo di comporto per malattia. Decidendo su uno dei motivi di impugnazione del licenziamento, la Suprema Corte ha confermato che non costituisce violazione da parte del datore di lavoro dei principi di correttezza e buona fede non aver risposto alle richieste del lavoratore di essere informato sullo stato del proprio periodo di comporto.
Sempre la Cassazione, in una precedente pronuncia (la sentenza 18960 del 2020), ha affermato che l’azienda non ha nemmeno l’obbligo di preavvertire il lavoratore dell’imminente scadenza del periodo di comportoÈ il periodo di tempo in cui il lavoratore, assente dal lavoro per malattia o infortunio, ha diritto alla conservazione del proprio posto di lavoro. More «in quanto tale comunicazione servirebbe in realtà a consentire al dipendente di porre in essere iniziative, quali richieste di ferie o di aspettativa, sostanzialmente elusive dell’accertamento della sua inidoneità ad adempiere l’obbligazione».
Significa dunque che il lavoratore deve attentamente conteggiare i giorni di assenza per relativi al periodo di malattia al fine di evitare il superamento del periodo di comporto, non essendoci alcun obbligo a carico del datore di lavoro di tenerlo aggiornato e preavvertirlo dell’imminente scadenza e del probabile fatto che può essere licenziato.
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