Risarcimento danno biologico da superlavoro: il vademecum della Cassazione

risarcimento danno biologico
(foto Shutterstock)

Quali sono le tutele a favore dei lavoratori e come si calcola il risarcimento del danno biologico

Turni massacranti, nessun giorno di riposo, ferie negate e molte altre privazioni. Il superlavoro può causare danni, anche importanti, alla salute del lavoratore e portarlo così a subire un infortunio sul lavoro.

Se senti di aver avuto uno di questi problemi, hai diritto a richiedere un risarcimento del danno biologico nei confronti del datore di lavoro. 

Con la sentenza numero 6008/2023, la Corte di Cassazione è intervenuta nuovamente sul tema: un medico ha chiesto il riconoscimento del danno per aver subito un infarto a causa dei continui turni di reperibilità richiesti dall’azienda sanitaria. La motivazione della sentenza è una guida utile sui principi sostanziali e processuali che governano tale particolare fattispecie. 

La lettura di questa sentenza offre spunti con riguardo alle violazioni di legge e ai fatti che il dipendente deve provare per poter ottenere il risarcimento del danno biologico provocato dal superlavoro.

Cos’è il danno biologico? E quando è risarcibile?

Il superlavoro, lo dice lo stesso nome, è un lavoro che va oltre l’ordinario. La legge prevede un numero massimo di ore annue di lavoro straordinario: 250 ore. Ciò non significa, tuttavia, che tutte le ore che sforano tale limite rappresentano un danno biologico da “superlavoro”.

Per poter ottenere un risarcimento, infatti, è sempre necessario descrivere il particolare danno subito (economico, alla salute, alla vita di relazione,ecc.) a causa dei turni eccessivi di lavoro. Nel caso deciso dalla Corte di Cassazione, un dirigente medico aveva subito un infarto e, secondo quanto denunciato, il malore sarebbe stato da ricondurre ai turni imposti dall’azienda sanitaria a causa del sottodimensionato dell’organico del reparto.

L’obbligo dell’azienda di tutelare la salute del dipendente

La sicurezza e la salvaguardia della salute del personale è uno degli obblighi più importanti a carico del datore di lavoro. Secondo quanto previsto dall’articolo 2087 del Codice Civile: “L’imprenditore è tenuto a adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono  necessarie  a  tutelare  l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro”. Completano il sistema antinfortunistico il Testo Unico Sicurezza e tutte le normative speciali e di settore. Ma l’articolo 2087 del Codice Civile rimane la norma generale che ispira l’intera normativa. 

Secondo la Cassazione “la disposizione di cui all’art. 2087 c.c. si qualifica alla stregua di norma di chiusura del sistema antinfortunistico estensibile a situazioni ed ipotesi non ancora espressamente considerate e valutate dal legislatore”. Si tratta di una disposizione che “impone all’imprenditore l’obbligo di preservare i lavoratori dalla lesione nell’ambiente o in circostanza di lavoro anche in relazione ad eventi che non sono coperti specificamente dalla normativa antinfortunistica”.

Richiesta risarcimento danno biologico: è necessario indicare la norma violata dall’azienda?

La domanda sorge spontanea in tutti i casi in cui un dipendente intenda agire in giudizio, nei confronti dell’azienda, con una richiesta di risarcimento del danno biologico. Il lavoratore deve indicare anche una precisa violazione di legge? In altri termini, il dipendente deve citare la norma violata dal proprio datore di lavoro? 

Secondo la Cassazione, la risposta è negativa: non è necessario indicare la normativa non rispettata. A maggior ragione in un caso di danno da superlavoro, che non è presidiato da una normativa speciale, ma viene ricondotto alla generale previsione dell’articolo 2087. 

Secondo la Suprema Corte “non si può imporre al lavoratore di individuare la violazione di una specifica norma prevenzionistica, ancor meno ciò può essere richiesto quando, adducendo la ricorrenza di prestazioni oltre la tollerabilità, è in sé dedotto un inesatto adempimento all’obbligo di sicurezza, indubbiamente onnicomprensivo e che non necessita di altre specificazioni, pur traducendosi poi esso anche in violazione di disposizioni antinfortunistiche”. 

Che cosa deve provare il dipendente per ottenere il risarcimento del danno biologico?

Chiarito che il dipendente non ha l’obbligo di indicare con precisione la norma violata, è necessario approfondire che cosa deve essere allegato e dimostrato per poter ottenere il risarcimento richiesto. In altre parole, che cosa il dipendente deve affermare e che cosa deve provare per poter vincere la controversia. Secondo la Corte di Cassazione “è sufficiente a dimostrare la nocività dell’ambiente di lavoro e l’allegazione (la prova) dello svolgimento prolungato di prestazioni eccedenti un normale e tollerabile orario lavorativo”. 

Quindi il dipendente per ottenere il risarcimento del danno biologico deve:

  • descrivere e dimostrare lo svolgimento di turni oltre l’orario previsto ed “eccedenti” l’ordinaria tollerabilità;
  • provare e quantificare il danno subito, ad esempio la malattia sofferta a causa di questi turni;
  • dimostrare il nesso di causa tra il superlavoro e la patologia sofferta.

L’efficacia dell’accertamento o della causa di servizio

Può succedere che il dipendente che denuncia lo svolgimento di un orario eccessivo di lavoro, abbia promosso in precedenza il procedimento avanti l’Inail per il riconoscimento della malattia professionale o della “causa di servizio”.

Che valore ha il giudizio amministrativo? Il dipendente ha diritto automaticamente anche al risarcimento nei confronti dell’azienda? No: l’accertamento dell’Inail non produce alcun automatismo nel successivo giudizio contro l’azienda, ma il lavoratore può certamente valorizzare tale accertamento. 

Nella motivazione della sentenza della Cassazione si afferma che  “l’autonomia dei due istituti (equo indennizzo e risarcimento dei danni biologici e morali) non esclude che si possa realizzare una vasta area di coincidenza del nesso causale della patologia ai fini sia dell’equo indennizzo sia del risarcimento del danno biologico derivante dalla malattia”. 

Per tali ragioni “non è consentito al giudice del merito negare rilevanza probatoria alla documentazione tecnica sulla scorta della quale è stato riconosciuto il nesso causale in sede amministrativa, senza alcuna notazione critica circa il contenuto di quella documentazione.”.

 

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