Che cos’è il danno da superlavoro? La Corte di Cassazione chiarisce i fatti da dimostrare per avere diritto al risarcimento del danno
Con l’ordinanza 34968 del 2022, la Corte di Cassazione ha deciso un caso da danno da superlavoro. La sentenza è importante perché detta le condizioni per il riconoscimento del danno da eccessiva attività lavorativa e specifica che cosa deve dimostrare il lavoratore per avere diritto al risarcimento.
La pronuncia, inoltre, spiega in che modo l’azienda può difendersi e che cosa deve provare per evitare la condanna al pagamento del danno.
È un’attività lavorativa che va oltre il massimo consentito dalla legge. La normativa prevede che il numero massimo di ore che un dipendente può lavorare nel corso di un anno è pari a 250.
Sia chiaro: non tutti i casi di sforamento di tale limite comportano un risarcimento. Affinché vi sia un risarcimento è necessario che il lavoratore dimostri di aver subito un danno, alla salute o alla propria vita relazionale.
Nel caso deciso dalla Cassazione, un dipendente del Ministero della Giustizia ha denunciato di aver lavorato osservando turni massacranti, a causa della carenza di organico, svolgendo anche mansioni di altri colleghi.
Proprio a causa di tale attività, il lavoratore prima ha sofferto uno stress psicologico e poi è stato colpito da un infarto. Ha fatto così causa al Ministero per danno da superlavoro.
Il Testo unico sulla sicurezza sui luoghi di lavoro non prevede una norma specifica che vieta il superlavoro. Tuttavia, come ricordato anche dalla Suprema Corte, un simile divieto, e la relativa responsabilità, si ricava dai principi generali e dalla lettura combinata di alcune disposizioni.
In via generale, “l’obbligazione di sicurezza si materializza in un intreccio indissolubile di fattori “di fare” e di “non fare“, ma essa va colta nella sua unitarietà come dovere di garantire che lo svolgimento del lavoro non sia fonte di pregiudizio per il lavoratore”.
Secondo la Cassazione, il generale obbligo di sicurezza comprende, in concreto, componenti positive e negative: le prime impongono al datore di intervenire con forme di prevenzione o impedimento di situazioni dannose, mentre le seconde prescrivono di evitare di richiedere l’esecuzione della prestazione con modalità improprie.
Con riguardo alle norme specifiche, la Corte richiama i principi generali dell’articolo 2087 del codice civile e l’articolo 4 del Decreto Legislativo n. 81 del 2008, secondo cui “nell’affidare i compiti ai lavoratori tiene conto delle capacità e delle condizioni degli stessi in rapporto alla loro salute e alla sicurezza”.
Se dunque l’azienda deve astenersi dal richiedere un’eccessiva attività lavorativa, che cosa deve provare il dipendente per avere diritto al risarcimento del danno?
Il dipendente deve allegare i fatti su cui si fonda l’eccessiva attività lavorativa e i fattori di rischio, ad esempio, secondo la Cassazione “modalità qualitative improprie, per ritmi o quantità di produzione insostenibili” oppure “misure temporali eccedenti i limiti previsti dalla normativa o comunque in misura irragionevole”.
Inoltre, il dipendente deve dimostrare che il danno sofferto (il più delle volte il danno alla salute) è stato causato dal superlavoro. In questo modo, anche senza citare una precisa norma, il lavoratore denuncia “un inadempimento all’obbligo di sicurezza, indubbiamente onnicomprensivo e che non necessita di altre specificazioni”.
Se un dipendente dimostra di aver subito un danno da superlavoro, il datore di lavoro può difendersi adducendo una serie di giustificazioni e fornendo la relativa prova.
Nella sentenza in commento la Cassazione afferma che l’azienda “deve dimostrare, di avere osservato le regole proprie che governano l’attribuzione dei compiti al dipendente”. Non solo. Il datore può contestare che il danno denunciato dal dipendente non è ricollegabile all’attività lavorativa, ma ha una causa esterna all’ambiente di lavoro.
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