Quando sono i colleghi a fare mobbing

Mobbing tra colleghi
(foto Shutterstock)

Quali sono i casi previsti, i rimedi e le responsabilità quando il lavoratore subisce atti vessatori da parte dei propri colleghi

Non è sempre e solo il datore di lavoro o il superiore gerarchico a fare mobbing. Esiste anche quello «orizzontale», che si verifica nel caso in cui il mobber sia un collega di «pari grado». 

Spesso, nella pratica, questa particolare forma è messa in pratica da più lavoratori nei confronti di un collega. È una condotta grave, che può costare anche il licenziamento. In alcune ipotesi anche la società può essere chiamata a risarcire il danno del dipendente mobbizzato.

Cos’è il mobbing?

In Italia si è cominciato a parlare di questo fenomeno a partire dagli anni ’80 e – dopo quarant’anni – è diventato un istituto di pubblico dominio, che prevede apposite tutele.

Può essere definito come una serie di comportamenti, anche all’apparenza neutri o leciti, realizzati, in modo sistematico, nei confronti di un dipendente con lo scopo di isolarlo, vessarlo, porlo in una condizione di estraneità rispetto al contesto lavorativo. 

A seconda dall’autore dei comportamenti, se ne possono individuare due tipologie:

  1. verticale: si tratta della forma più diffusa e in questo caso l’autore è il datore di lavoro o il superiore gerarchico (es. responsabile di reparto/ufficio).
  2. orizzontale: quando il responsabile delle condotte è un collega di pari grado. Ad esempio, i colleghi di reparto o di ufficio.

Quando si parla di mobbing orizzontale?

Sono necessari gli stessi elementi previsti da quello verticale. Innanzitutto, non sono sufficienti degli episodi isolati. Seppur offensive, o anche solo sgradevoli, alcune condotte estemporanee non possono essere considerate una forma di mobbing. 

È richiesta la presenza di tutti questi presupposti:

  • molteplicità e sistematicità dei comportamenti: un solo episodio non è sufficiente;
  • durata della condotta: la sistematicità e la numerosità dei comportamenti richiedono inoltre che questi vengano realizzati in un contesto temporale allargato e non concentrato in poco tempo;
  • finalità vessatoria: i comportamenti devono essere finalizzati a isolarti, in questo caso ti ritrovi dunque in una condizione di inferiorità o emarginazione rispetto al resto del personale. Le motivazioni possono essere le più varie: motivi politici, sessuali, religiosi;
  • pregiudizio alla salute della persona mobbizzata: devi dimostrare che i comportamenti vessatori hanno provocato un danno alla tua salute.

Umiliazione sul lavoro

L’umiliazione sul lavoro è una delle situazioni più frequenti in cui si manifesta il mobbing. Una delle finalità del mobber – cioè di chi mette in atto comportamenti mobbizzanti – è proprio quella di isolare una persona rispetto al resto del contesto lavorativo, portando le vittime a sentirsi umiliate al lavoro.

Per raggiungere questo scopo, una delle condotte più tipiche consiste nell’umiliare il dipendente davanti agli altri colleghi, facendolo sentire un elemento estraneo al gruppo o all’ambiente. Anche un demansionamento costante e pubblico, oppure la privazione sistematica delle mansioni, possono rappresentare forme di umiliazione e segnalare un chiaro intento persecutorio nei confronti della persona.

Come reagire alle umiliazioni sul lavoro? Puoi iniziare inviando una diffida scritta all’azienda, descrivendo in modo dettagliato le condotte poste in essere dai colleghi o dal tuo responsabile. Se nel tuo luogo di lavoro è previsto un sistema di whistleblowing, puoi utilizzarlo per segnalare in modo riservato quanto accade.

Allusioni sessuali

Allusioni sessuali sul lavoro sono condotte particolarmente sgradevoli e spiacevoli da subire. Tuttavia, non tutte le allusioni sessuali possono configurare mobbing

Questo perché il mobbing richiede una finalità specifica, ossia il comportamento deve essere messo in atto con l’intento di vessarti o isolarti nel contesto lavorativo. Se manca questo fine preciso, non si può parlare di mobbing.

Attenzione però: anche in assenza di mobbing, le allusioni sessuali possono comunque essere perseguite sotto altri profili, ad esempio penale, risarcitorio o disciplinare, a seconda della gravità e della frequenza del comportamento.

Offese e minacce sul posto di lavoro da un collega

Le minacce sul posto di lavoro da parte di un collega o le offese verbali sul posto di lavoro non sono automaticamente riconducibili a una situazione di mobbing. 

Perché si possa parlare davvero di mobbing, è necessario che i comportamenti siano ripetuti nel tempo e abbiano come obiettivo quello di emarginarti o isolarti dal resto del contesto lavorativo.

Diversamente, se si tratta di minacce verbali sul posto di lavoro o di offese sul posto di lavoro dovute a divergenze personali, scontri caratteriali, opinioni politiche, motivi extra-lavorativi o altro, non si può parlare di mobbing, ma di comportamenti comunque inaccettabili e rilevanti dal punto di vista disciplinare.

Se ti stai chiedendo cosa fare in caso di minacce sul lavoro, è fondamentale documentare ogni episodio e, se possibile, inviare una segnalazione formale all’azienda o rivolgersi a un avvocato per valutare i passi successivi. 

Anche le minacce sul posto di lavoro da collega devono essere prese sul serio e possono avere conseguenze legali.

Licenziamento per mobbing 

Chi compie questi comportamenti può andare incontro a una responsabilità penale: in base alla gravità dei fatti, possono essere contestati reati come molestie, ingiurie, fino ad arrivare agli atti persecutori (stalking).

Si tratta di reati molto gravi e puniti severamente.

Il mobber, per gli stessi fatti, può anche essere sottoposto a un procedimento disciplinare che può concludersi con il licenziamento per giusta causa

Non è necessario che l’azienda qualifichi espressamente la condotta come mobbing: basta contestare i fatti e le condotte in modo corretto. Infatti, il mobbing è una condotta continuata e composta da più episodi. Tuttavia, all’azienda può bastare anche un solo episodio, se molto grave, per avviare la procedura disciplinare.

L’azienda è responsabile?

A seconda di come si sono svolti i fatti, può esserci una responsabilità anche a carico dell’azienda.

Secondo l’articolo 2087 del Codice Civile, l’imprenditore deve adottare tutte le misure necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei lavoratori, in base alla particolarità del lavoro, all’esperienza e alla tecnica. Inoltre, l’articolo 2049 stabilisce che l’azienda risponde dei fatti illeciti e dei danni causati dai propri preposti.

Una sentenza del Tribunale di Milano, in un caso simile, ha ritenuto la società responsabile dei danni causati dai comportamenti di alcuni colleghi. 

Il giudice ha evidenziato che la reiterazione delle condotte non poteva essere ignorata dalla società e che, di conseguenza, l’azienda aveva contribuito a creare un ambiente di lavoro non inclusivo e respingente nei confronti di alcune persone.

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