Quando può essere utilizzato il licenziamento per giusta causa, quali sono le conseguenze e quali sono le tutele per il lavoratore
“Sei licenziato!”, “prendi le tue cose e non farti più vedere”, esclamazioni pronunciate ad alta voce e accompagnate dal gesto che indica la porta. È questa la scena che ci immaginiamo tutti quando pensiamo al licenziamento, seguita dal dipendente che mette le sue cose in una scatola di cartone e lascia per sempre il suo ufficio.
La realtà però – almeno quella italiana – è ben diversa. Niente urla o capi che sbraitano e nessun effetto sorpresa: la legge indica un preciso procedimento da seguire, con i suoi tempi e le garanzie a difesa di entrambe le parti: lavoratore e azienda.
Il licenziamento per giusta causa è quello che in modo informale viene chiamato “licenziamento in tronco” e rappresenta la sanzione più severa che può adottare l’azienda nei tuoi confronti.
La sua definizione è contenuta nell’articolo 2119 del codice civile, intitolato “recesso per giusta causa”. Secondo il codice civile la “giusta causa” è quella motivazione che non permette al rapporto di continuare, nemmeno in via provvisoria.
Non è affatto una domanda stupida o provocatoria. Spesso si fa confusione tra lettera di contestazione disciplinare e il successivo licenziamento, ma si tratta di due comunicazioni diverse, che hanno delle tempistiche e delle finalità differenti e che vanno dunque distinte.
Il codice civile non elenca le ipotesi che giustificano licenziamento per giustificato motivo oggettivo da parte dell’azienda. Se vieni licenziato per giusta causa, è compito dei professionisti del settore (cioè gli avvocati e i consulenti) accertare se un tuo determinato comportamento rientra o meno nelle giuste cause per licenziamento.
Questo però non significa senza motivi di licenziamento per giusta causaÈ il licenziamento inflitto senza preavviso a fronte di una condotta del dipendente talmente grave da non consentire la prosecuzione, neanche temporanea, del rapporto. More l’azienda possa effettivamente allontanarti dal lavoro. Ci sono infatti dei limiti precisi che vanno tenuti in considerazione.
La prima cosa da fare è leggere con attenzione le previsioni del contratto collettivoÈ l’accordo stipulato a livello nazionale tra i sindacati di rappresentanza dei lavoratori e dei datori di lavoro per regolare determinati aspetti dei contratti individuali di lavoro di un certo settore (es. orario di lavoro, retribuzione minima, ferie, congedi, ecc.). More. Sono infatti i CCNL, e non il codice civile, a indicare le sanzioni disciplinari.
Se ad esempio un certo comportamento è punito con una cosiddetta “sanzione conservativa” (ad esempio, la sospensione dal lavoro e dalla retribuzione), l’azienda non può decidere di licenziarti.
Il licenziamento per giusta causa da parte del dipendente in linea teorica non esiste, almeno non in questi termini. Infatti, in questo caso non si parla tecnicamente di “licenziamento”, ma di dimissioniL’atto unilaterale con cui il lavoratore comunica di voler interrompere il rapporto lavorativo con il datore di lavoro. More. È tuttavia in uso l’espressione comune “mi sono licenziato per giusta”, ma la formulazione corretta è “mi sono dimesso per giusta causa”.
Come nel caso di licenziamento, le dimissioni per giusta causa possono essere comunicate da te in presenza di inadempimenti molto gravi da parte dell’azienda. La legge non elenca i singoli casi, ma deve comunque trattarsi di una mancanza talmente grave da non consentire la prosecuzione, nemmeno temporanea, del rapporto.
Alcuni esempi di dimissioni per giusta causa: mancato pagamento di più retribuzioni, gravi violazioni in tema di sicurezza sul lavoro, imposizione di orari di lavoro troppo gravosi, comportamenti violenti o vessatori.
E se il contratto collettivo non contiene alcuna indicazione rispetto al fatto da te commesso? In questo caso la sanzione più severa è legittima se è proporzionata alla gravità del fatto contestato.
Abbiamo visto che si parla di licenziamento legittimo quando è proporzionato alla gravità del fatto da te compiuto. Questo significa che il fatto deve essere abbastanza grave da giustificare il licenziamento.
Ma come si valuta la proporzionalità? Va valutata in concreto e in relazione a diversi aspetti che possono essere indicati dal datore di lavoro per motivare la sanzione e che possono essere successivamente esaminati dal giudice nel caso in cui tu voglia impugnare il licenziamento.
Bisogna dunque valutare questi aspetti:
La valutazione di tutti questi criteri, assieme a tutti gli elementi che li compongono, consente di decidere se il fatto da te commesso può aver leso in modo irreparabile la fiducia del datore di lavoro e quindi possono giustificare il licenziamento.
Come anticipato, nel nostro sistema è vietato il licenziamento in tronco, cioè orale e intimato senza che prima sia stata data una contestazione scritta e possibilità di difesa.
Va infatti precisato che anche in presenza di fatti gravissimi e anche se questi sono stati da te confessati, l’azienda deve sempre avviare il procedimento disciplinare.
La contestazione disciplinare è la prima comunicazione che ti devono inviare. Senza la notifica di questa comunicazione, non può esserci nessuna sanzione disciplinare, come previsto dall’articolo 7 dello Statuto dei lavoratori.
Pertanto, l’azienda deve sempre formalizzare per iscritto a te la contestazione disciplinare prima di procedere con il licenziamento. Si tratta di un obbligo che deve essere rispettato anche nei casi più gravi.
La formalizzazione della contestazione disciplinare ha una doppia funzione.
Nel caso di licenziamento per giusta causa l’azienda non deve rispettare alcun periodo di preavviso. Significa che, una volta terminato il procedimento disciplinare, l’efficacia del licenziamento è immediata.
Solo a questo punto il rapporto di lavoro termina definitivamente. In questo caso, non hai diritto a nessuna indennità di preavviso.
Sì, il licenziamento per giusta causa non fa venire meno il diritto a percepire le somme dovute a titolo di trattamento di fine rapporto (TFR). Anche se dovessi aver commesso fatti molto gravi, l’azienda sarebbe comunque tenuta a versare tutte le somme che ha trattenuto a titolo di TFR.
Tuttavia, nei casi più gravi, il datore di lavoro potrebbe pensare di trattenere unilateralmente questi importi. Ipotizziamo che tu abbia volontariamente danneggiato i locali aziendali. La società può chiedere i danni, ma non può trattenere autonomamente gli importi dallo stipendio o dal trattamento di fine rapporto. L’azienda deve in ogni caso aspettare una pronuncia giudiziaria.
Se lo facesse, si tratterebbe di un’imposizione unilaterale che puoi contestare nelle sedi opportune.
No, non rimane alcuna traccia nella carriera lavorativa del licenziamento per giusta causa. È una vecchia leggenda, dai tempi del “libretto di lavoro”, secondo cui il licenziamento per giusta causa lascerebbe un segno nel percorso lavorativo.
In realtà non c’è alcuna possibilità di identificare un’interruzione del rapporto come licenziamento per giusta causa e questo dato non compare nei registri del centro per l’Impiego, dunque non c’è alcun registro ufficiale dove un futuro datore di lavoro possa andare a controllare.
Facciamo innanzitutto chiarezza sul termine: impugnare il licenziamento significa contestarlo a livello legale. Se dunque ti viene comunicato il licenziamento, hai il tempo per rivolgerti al sindacato o a un legale per poter gestire i tuoi interessi nel modo migliore possibile.
I termini di impugnazione sono due:
È necessario prestare molta attenzione a questi due termini perché andare oltre queste soglie di tempo porta l’impossibilità di impugnare il licenziamento, ovvero si perde il diritto a controbattere sul licenziamento subito.
Con il ricorso in Tribunale, devi contestare la fondatezza del licenziamento subito. Le difese possono riguardare:
Abbiamo visto che è un tuo onere impugnare il licenziamento, cioè sei tu che devi presentare ricorso in Tribunale, non è compito dell’azienda farlo.
Questo però non significa che incomba sempre su di te l’obbligo di dimostrare l’infondatezza dei fatti contestati. Infatti, è sempre l’azienda che deve allegare e dimostrare, con estrema precisione, la fondatezza dei fatti contestati a te.
Si percepisce l’indennità di disoccupazione anche in caso di licenziamento per giusta causa. È un falso mito quello che, in caso di fatti gravi, il dipendente perde la disoccupazione. In realtà, la NASpI è prevista in tutti i casi di perdita involontaria del posto di lavoro e tra queste ipotesi rientra anche il licenziamento disciplinareÈ la sanzione estrema che il datore può infliggere a fronte di comportamenti del lavoratore contrari alle regole stabilite dalla legge e dal codice disciplinare aziendale. More. Si tratta, infatti, di una decisione che non è stata presa da te, ma dal datore di lavoro.
In caso di impugnazione del licenziamento, se il Tribunale accoglie il tuo ricorso, in alcuni casi è prevista la reintegrazione nel posto di lavoro. Qualora tu sia stato illegittimamente licenziato potresti dunque tornare in azienda.
Quali sono i casi più gravi di illegittimità del licenziamento?
Vediamo alcuni esempi:
In questo articolo puoi trovare tutti gli altri casi di illegittimità del licenziamento che danno diritto alla reintegrazione nel posto di lavoro.
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