Quando si lavora in appalto cosa succede se non c’è gradimento del committente? Vediamo presupposti, limiti ed effetti dell’esercizio di questa clausola
Si può essere cacciati dal posto di lavoro per volontà di una terza persona? Sì, si tratta di una facoltà prevista a favore di determinati soggetti nell’ambito di alcuni contratti di appalto.
È la cosiddetta clausola di «gradimento», o meglio di «sgradimento», che consente al committente di chiedere il trasferimento di alcuni dipendenti dell’appaltatore. Per evitare abusi in danno dei lavoratori, l’esercizio di una simile clausola deve essere motivata e fondata su fatti oggettivi.
È una specifica clausola, pattuita in contratti di appalto o fornitura di merci e servizi, che consente al soggetto committente di chiedere l’allontanamento di alcuni dipendenti del proprio appaltatore-fornitore.
Rientrano tra i contratti di appalto delle situazioni molto frequenti nei contesti aziendali: ad esempio, i servizi di pulizie, la mensa aziendale, la guardiania e la vigilanza. In questi casi, molto spesso, le parti inseriscono tra le condizioni contrattuali proprio la clausola di gradimento.
La clausola può essere, ad esempio, formulata nel seguente modo: «le parti riconoscono al committente il diritto di richiedere all’appaltatore l’allontanamento dal servizio dei dipendenti che durante lo svolgimento delle prestazioni abbiamo dato motivi di disservizio o tenuto un comportamento non consono all’ambiente di lavoro e/o non rispettoso».
Il committente non deve interferire nella gestione dei dipendenti del proprio appaltatore. Anche nei casi di appalti interni, ossia da eseguirsi all’interno della propria realtà aziendale (ad esempio, il servizio pulizie o la mensa), le direttive e il potere disciplinare rimangono sempre una prerogativa dell’appaltatore, datore di lavoro del personale impiegato nell’appalto.
Cosa significa in concreto? Significa, ad esempio, che se un dipendente dell’appaltatore non lavora con l’ordinaria diligenza, il committente non può esercitare alcun potere disciplinare.
Si pensi, per fare un esempio concreto, all’addetto alla vigilanza che si addormenta sul posto di lavoro: in questo caso il committente non può sanzionare il vigilantes ma si deve limitare a segnalare la circostanza al proprio appaltatore. Proprio in ragione di questi precisi limiti, è frequente che nei contratti di appalto le parti prevedano la facoltà del committente di chiedere all’appaltatore di allontanare alcuni dipendenti.
Secondo la giurisprudenza, una simile clausola è perfettamente legittima. Anche di recente la Corte di Cassazione ha ribadito che il «venir meno del gradimento si traduce in una obiettiva ragione di tipo organizzativo, e di conseguenza in un presupposto di legittimità del provvedimento di trasferimento, non potendo l’impresa appaltatrice ulteriormente avvalersi, nella stessa unità produttiva, della prestazione del dipendente non più gradito».
Tuttavia, affinché tale clausola non venga esercitata in danno del lavoratore è necessario che la richiesta sia motivata, ragionevole e non pretestuosa, e che i fatti contestati siano oggettivi.
Se il committente esercita la clausola di gradimento, l’appaltatore è obbligato ad allontanare il proprio dipendente dai locali del committente.
In astratto, potrebbe anche opporsi alla richiesta, ma in questo caso andrebbe a pregiudicare i rapporti con un proprio partner commerciale. Perciò, nella maggior parte dei casi, l’appaltatore dà seguito alla richiesta del committente e trasferisce il lavoratore a un altro appalto.
E se non dispone di ulteriori luoghi dove mandare il proprio dipendente? In questo caso, se i fatti rilevati sono molto gravi, l’appaltatore può avviare il procedimento disciplinare finalizzato al licenziamento del lavoratore.
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