Il datore di lavoro è tenuto a pagare una maggiorazione al lavoratore in trasferta? Vediamo quando sono pagate le trasferte in busta paga, e perché
Le trasferte, o missioni, sono spostamenti temporanei del lavoratore comandati dal datore di lavoro. Non comportano il cambiamento del luogo di lavoro del lavoratore perché questi spostamenti sono sempre temporanei.
La temporaneità è determinata dall’esigenza del datore di lavoro. Ad esempio, per un’azienda che partecipa a fiere ed eventi, è normale e funzionale all’attività dell’azienda stessa inviare alcuni dipendenti, in determinate giornate, a tali eventi.
In generale no. L’unico obbligo che potrebbe sorgere è quello di comunicare all’INAIL il diverso rischio a cui è esposto il lavoratore in questa occasione, rispetto al suo normale lavoro.
È sempre consigliabile comunicare e motivare per iscritto la trasferta, soprattutto se questa ha una durata più lunga rispetto a quelle normali (ad esempio, quando avviene in un altro stato per partecipare a una particolare fiera internazionale).
Alcuni contratti collettivi prevedono delle somme aggiuntive alla normale retribuzione, che hanno lo scopo di compensare il disagio causato al lavoratore in queste occasioni. Tali somme possono essere concordate anche volontariamente tra datore di lavoro e lavoratore.
L’indennità di trasferta gode di un particolare regime contributivo e fiscale, cioè costa meno al datore di lavoro e viene percepita totalmente dal lavoratore perché non viene tassata.
La convenienza di queste somme però non è infinita. Queste sono esenti da tasse quando si verificano al di fuori del comune in cui ha sede di lavoro il lavoratore ed entro specifici limiti quantitativi. I limiti di esenzione di tassazione funzionano in base alla tipologia di rimborso. Infatti, esistono diverse indennità di trasferta:
Al di sopra di questi limiti l’indennità dovrà essere considerata imponibile così come avviene per la retribuzione, e quindi saranno dovute tasse sia per il datore che per il lavoratore.
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