Trasferta e trasfertismo sono due termini con un diverso significato, vediamo tutti i dettagli
Quando lavori fuori dalla sede aziendale, potresti sentir parlare di trasferta e trasfertismo. Anche se sembrano simili, questi due termini non hanno lo stesso significato e hanno effetti diversi sul piano contrattuale ed economico.
Entrambi i casi si riferiscono al fatto che non lavori nella sede abituale, ma le condizioni e i diritti che ti spettano cambiano in modo significativo.
Vediamo quindi che differenza c’è tra trasferta e trasfertismo e come vengono trattati a livello normativo.
Vediamo ora il significato di trasferta. La trasferta per lavoro ti permette di andare temporaneamente in un luogo diverso da quello in cui lavori di solito, per svolgere la tua attività lavorativa.
Se sei un lavoratore in trasferta, devi sapere che l’aspetto più importante della trasferta è proprio la sua temporaneità: non cambia la tua sede di lavoro, ma per un certo periodo devi spostarti altrove.
In base a quanto previsto dal CCNL applicato, hai diritto a un’indennità di trasferta, oppure a rimborsi spesa per il viaggio, il vitto o l’alloggio.
Il pagamento della trasferta viene indicato al centro della tua busta paga, dove troverai il numero di giorni in trasferta e l’importo totale che ti spetta per quel mese.
Quando si parla di trasferta, una delle domande più comuni è: quanto può durare al massimo?
In realtà, la normativa non fissa un limite preciso in termini di giorni o mesi. Quello che conta davvero è il carattere temporaneo dello spostamento.
Infatti, anche se lavori altrove per un periodo, la tua sede di lavoro ufficiale resta quella abituale.
Se però la trasferta dura troppo a lungo, rischia di perdere il suo carattere temporaneo e potrebbe essere considerata una modifica stabile del tuo contratto.
Per capire quanto ti viene pagata una trasferta, devi tenere conto di diversi elementi che compongono l’importo finale.
Di solito, la trasferta ti dà diritto a un’indennità extra rispetto allo stipendio normale, proprio per coprire il disagio dello spostamento e le spese che sostieni fuori sede.
In genere, la trasferta in Italia viene pagata meno rispetto a una trasferta all’estero.
La normativa stabilisce solo gli importi massimi per cui è possibile non pagare tasse e contributi su quella somma. Ma il tuo datore di lavoro, a livello aziendale, può anche riconoscerti importi inferiori, se non ci sono accordi diversi.
In Italia, ci sono tre principali modalità di rimborso per la trasferta: forfettario, analitico e misto.
Con il rimborso forfettario, ricevi un’indennità giornaliera fissa, che non viene tassata fino a un certo limite, anche se non presenti le ricevute delle spese.
Con il rimborso analitico, invece, devi compilare una nota spese, inserendo nel dettaglio tutte le uscite sostenute, e giustificare ogni importo con scontrini o ricevute.
Il rimborso misto è una via di mezzo: una parte è fissa e l’altra viene rimborsata solo se documentata.
La scelta del tipo di rimborso dipende di solito da ciò che prevede la tua azienda.
Il rimborso forfettario per la trasferta è una delle modalità più comuni con cui vieni compensato per le spese sostenute durante uno spostamento temporaneo per lavoro.
Con questo sistema, ricevi un importo fisso al giorno, anche senza dover dimostrare le spese effettive, a condizione che ti allontani dalla tua sede abituale di lavoro.
Il rimborso forfettario è esente da tasse e contributi fino a certi limiti:
Queste somme le trovi indicate nella tua busta paga, con la voce rimborso forfettario, e sono separate dalla retribuzione normale.
Il rimborso piè di lista, detto anche rimborso analitico, è il sistema con cui vieni rimborsato per le spese effettivamente sostenute durante una trasferta.
In questo caso, devi conservare e presentare tutti i giustificativi delle spese, come scontrini, ricevute e fatture, così l’azienda può verificare ogni voce e procedere al rimborso.
È un sistema preciso e dettagliato, usato soprattutto quando si vuole tenere sotto controllo ogni costo.
Se presenti la documentazione completa, le spese per vitto, alloggio, viaggio o trasporto sono escluse dalla base imponibile, cioè non paghi tasse né contributi su questi rimborsi.
Oltre a questo, ti possono essere riconosciute anche altre spese non documentate, purché siano dettagliate e spiegate in modo chiaro.
Anche queste sono esenti da tasse e contributi, fino a un massimo di 15,49 € al giorno per trasferte in Italia e 25,82 € per l’estero.
Come hai visto, le spese di trasferta possono essere rimborsate in vari modi. Quello più usato resta però l’erogazione della cosiddetta diaria, cioè una somma fissa che ti viene riconosciuta per ogni giorno in cui sei fuori sede.
La diaria di trasferta non dipende dalle spese che hai davvero sostenuto, ma viene pagata in misura fissa per compensare i disagi o i maggiori costi legati allo spostamento.
L’importo della diaria può essere deciso dal contratto collettivoÈ l’accordo stipulato a livello nazionale tra i sindacati di rappresentanza dei lavoratori e dei datori di lavoro per regolare determinati aspetti dei contratti individuali di lavoro di un certo settore (es. orario di lavoro, retribuzione minima, ferie, congedi, ecc.). More, da accordi aziendali o da regole interne, e può cambiare in base a quanto dura la trasferta e dove devi andare.
Potrebbe capitarti di vedere indicata una trasferta in busta paga, anche se non ti sei mai spostato realmente per lavoro.
In questi casi, il tuo datore di lavoro potrebbe usare la trasferta in modo scorretto, per pagarti somme esenti da tasse e contributi, pur non essendoci stato alcuno spostamento.
Questo comportamento è vietato dalla legge. Usare le trasferte per evitare di pagare l’IRPEF o i contributi INPS, con l’obiettivo di ridurre il costo del lavoro, può portare a sanzioni per il datore di lavoro.
Se hai dubbi su quanto ti viene indicato in busta paga, è sempre bene chiedere chiarimenti o rivolgerti a un consulente.
Se ricevi un rimborso analitico o misto, devi fare molta attenzione alla gestione dei documenti giustificativi della trasferta. Sono fondamentali per ottenere il rimborso delle spese che hai sostenuto mentre eri fuori sede per lavoro.
Questi documenti servono a dimostrare cosa hai speso, perché e in quale occasione. Tra i principali ci sono scontrini, fatture, biglietti di viaggio, ricevute alberghiere e la nota spese firmata.
La tua azienda ha il diritto di controllare che ogni spesa sia davvero collegata alla trasferta prima di rimborsarti.
In più, da gennaio 2025, le spese che vuoi farti rimborsare dovranno essere pagate con strumenti tracciabili, come carte di credito e di debito (definite di solito erroneamente anche “bancomat”).
Se paghi in contanti, l’azienda non potrà più dedurre quella spesa, e quindi potrebbe rifiutare di darti il rimborso.
Le voci che maggiormente danno diritto al rimborso sono le seguenti:
Hai quindi visto quando si parla di trasferta, come funziona il rimborso e quale trattamento fiscale si applica. Ma cosa succede quando vieni definito trasfertista? La differenza tra trasferta e trasfertismo è netta ed è importante capirla bene.
Se sei un trasfertista, significa che lavori sempre in posti diversi e non hai una sede di lavoro fissa.
Questa condizione si nota già nel contratto di assunzione o nella busta paga, dove non è indicato un luogo stabile in cui svolgi le tue attività.
Anche in questo caso, hai diritto a un’indennità, pensata per compensare il disagio della mobilità continua.
Si tratta dell’indennità di trasfertismo, che ha alcune particolarità:
In generale sì, se sei un lavoratore trasfertista, puoi essere considerato in trasferta quando vieni mandato fuori dal territorio di competenza che è stato stabilito nella lettera di conferimento.
In questi casi, hai diritto sia all’indennità di trasfertismo, che ricevi normalmente, sia all’indennità di trasferta, perché stai lavorando fuori dall’area concordata.
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