La sicurezza sul lavoro è una responsabilità condivisa tra azienda e dipendente. In caso di infortunio, vediamo quando la colpa ricade sul lavoratore
La definizione di infortunio sul lavoro è contenuta in un intervento legislativo di quasi sessant’anni fa, ma che nonostante sia datato rappresenta ancora una delle normative più importanti in ambito lavoristico.
È il Decreto del Presidente della Repubblica numero 1124 del 1965 – il Testo unico delle disposizioni per l’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali – che, all’articolo 2, parlando dell’ambito di applicazione dell’assicurazione obbligatoria, si riferisce ai “casi di infortunio avvenuti per causa violenta in occasione di lavoro, da cui sia derivata la morte o un’inabilità permanente al lavoro, assoluta o parziale, ovvero un’inabilità temporanea assoluta che importi l’astensione dal lavoro per più di tre giorni”.
Questa norma è importante perché indica i requisiti che deve avere un evento per essere considerato un “infortunio sul lavoro”.
La tutela della salute all’interno degli ambienti lavorativi è uno degli obblighi principali del datore di lavoro. È previsto dall’articolo 2087 del Codice Civile, ai sensi del quale
“L’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro.”.
Si tratta di una norma generale e “di chiusura”, ovvero esprime un principio generale che si applica in qualsiasi contesto lavorativo a prescindere dall’esistenza di disposizioni aggiuntive e più specifiche. Per questo motivo l’azienda, in caso di infortunio, non può difendersi sostenendo che non esiste alcun obbligo anti-infortunistico preciso per quella specifica situazione.
L’infortunio sul lavoro può avere le cause più varie. Un operaio cade da un’impalcatura, viene ferito dalla caduta di materiale, viene investito da un carrello elettrico. In tutti questi esempi, il dipendente subisce l’infortunio per colpa di altri colleghi o della struttura in cui lavora.
Tuttavia, possono succedere dei casi in cui l’infortunio per colpa del lavoratore è causato da un comportamento del dipendente stesso. Si pensi, ad esempio, al caso di un dipendente che si infortuna per non aver indossato i DPI (dispositivi di protezione individuali) o per non aver osservato le norme di sicurezza in cantiere o in fabbrica.
Cosa succede quando l’infortunio è causato dalla colpa del lavoratore? L’azienda deve rispondere? Innanzitutto è necessario analizzare con precisione il comportamento del lavoratore e le singole responsabilità a carico di tutti i soggetti coinvolti nell’infortunio.
Nel caso in cui emerga che l’infortunio è per colpa di una negligenza del lavoratore, quest’ultimo ha diritto a un risarcimento del danno più basso. Infatti, l’articolo 1227 del Codice Civile prevede che
“Se il fatto colposo del creditore ha concorso a cagionare il danno, il risarcimento è diminuito secondo la gravità della colpa e l’entità delle conseguenze che ne sono derivate. Il risarcimento non è dovuto per i danni che il creditore avrebbe potuto evitare usando l’ordinaria diligenza.”
Questa norma è applicabile anche nel caso di infortunio per negligenza del lavoratore. La Corte di Cassazione più volte ha affermato che “ai fini del risarcimento del danno, il concorso di colpa del lavoratore infortunato, pur in presenza di una condotta colposa dei soggetti che dovevano garantirne la sicurezza, può ricorrere nel caso in cui ci si trovi in presenza di una condotta negligente o imprudente del lavoratore che, pur non potendo essere considerata abnorme, consenta di affermare che questi abbia travalicato dalla mera esecuzione delle mansioni affidategli” (Cass. pen. 25 marzo 2010, n. 11579)
La colpa del lavoratore può portare quindi a una riduzione del risarcimento del danno. Ma in quali casi può esonerare l’azienda dalle proprie responsabilità? È opportuno infatti precisare che se la responsabilità dell’infortunio per colpa è del dipendente, questo non esclude automaticamente (anche) la colpa del datore di lavoro.
In altri termini, l’azienda non si può difendere esclusivamente sostenendo che l’infortunio è stato causato da un comportamento volontario, magari negligente, del lavoratore. Si pensi, ad esempio, al lavoratore che si è infortunato per non aver indossato le scarpe anti-infortunistiche o il caschetto protettivo.
In quest’ambito, come ricordato anche di recente dalla Corte di Cassazione (sentenza sezione quarta penale n.17617 del 29 marzo 2023),
“in materia di infortuni sul lavoro, la condotta colposa del lavoratore infortunato non può assurgere a causa da sola sufficiente a produrre l’evento, comunque, riconducibile all’area di rischio propria della lavorazione svolta: in tal senso il datore di lavoro è esonerato da responsabilità solo quando il comportamento del lavoratore presenti caratteri dell’eccezionalità, dell’abnormità, dell’esorbitanza rispetto alle direttive di organizzazione ricevute”.
In tal senso il lavoratore è tutelato “anche in ordine a incidenti che possano derivare da sua colpa, dovendo il datore di lavoro prevedere ed evitare prassi di lavoro non corrette e foriere di eventuali pericoli.”
L’azienda può dunque essere esonerata da qualsiasi responsabilità solo nel caso in cui, assolti tutti gli obblighi antinfortunistici, la condotta del lavoratore sia abnorme, eccezionale ed esorbiti dalle mansioni da eseguire, cioè vada oltre queste mansioni.
Non basta, quindi, un semplice infortunio per negligenza del lavoratore per escludere la responsabilità del datore di lavoro.
In altri termini, “perché possa ritenersi che il comportamento negligente, imprudente e imperito del lavoratore costituisca concretizzazione di un “rischio eccentrico”, con esclusione della responsabilità dell’azienda, è necessario che questa abbia posto in essere anche le cautele che sono finalizzate proprio alla disciplina e governo del rischio di comportamento imprudente, così che, solo in questo caso, l’evento verificatosi potrà essere ricondotto alla negligenza del lavoratore, piuttosto che al comportamento del garante”.
In base a queste indicazioni, l’azienda deve adottare tutte le misure finalizzate a scongiurare la commissione di gesti imprudenti e abnormi da parte del dipendente.
Una delle ipotesi più frequenti è quella dei lavoratore che subisce un infortunio agli arti superiori per averli inseriti all’interno dei macchinari. Ebbene, in tutti questi casi, l’azienda è responsabile dell’infortunio tutte quelle volte in cui non ha installato dei dispositivi di sicurezza che avrebbero impedito la condotta negligente del dipendente.
Diversamente, nell’ipotesi in cui il dipendente, ad esempio, inserisca la mano per evitare la chiusura del cancello dello stabilimento, si tratta di una condotta abnorme ed estranea alle mansioni lavorative. Lo stesso vale con riferimento agli infortuni occorsi in luoghi vietati ai lavoratori: la società deve dimostrare di aver adottato le opportune cautele per impedire l’accesso, non essendo sufficiente un semplice cartello di divieto di entrata.
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