Retribuzione: esiste il diritto alla parità di trattamento per i dipendenti dello stesso datore?

(foto Shutterstock)

La Cassazione esclude il diritto alla parità di stipendio tra colleghi: basta rispettare i principi di proporzionalità e sufficienza

IL FATTO

Un lavoratore si è rivolto al Giudice del lavoro lamentando di aver ricevuto, nei primi 15 mesi di rapporto a tempo indeterminato, un trattamento retributivo secondo lui illegittimo.
Il dipendente aveva infatti ricevuto, a parità di lavoro, uno stipendio inferiore a quello dei colleghi che svolgevano le sue stesse attività presso il medesimo datore e per questo motivo ha chiesto la condanna della società al pagamento delle differenze retributive.

I dipendenti dello stesso datore che svolgono gli stessi compiti devono essere pagati in misura uguale?

I PRINCIPI FONDAMENTALI IN MATERIA DI STIPENDIO

La prima regola basilare in tema di stipendio è contenuta nell’art. 36 della Costituzione.
La norma, infatti, stabilisce il diritto del lavoratore a ricevere una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del lavoro svolto, in ogni caso sufficiente a garantire una vita libera e dignitosa a sé e alla sua famiglia.

La determinazione dello stipendio è affidata innanzitutto al contratto collettivo di categoria, che fissa la soglia minima di retribuzione sotto cui non si può scendere; certamente il contratto individuale potrà poi prevedere un compenso più alto.

In assenza di contratto collettivo applicabile interviene l’accordo tra le parti e, in mancanza di questo, la retribuzione è determinata dal giudice (art. 2099 del Codice civile).

LA PRONUNCIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE

Già in passato la Cassazione aveva affermato che, fermo restando il rispetto del minimo retributivo stabilito dal contratto collettivo, possono legittimamente sussistere delle differenze di stipendio tra colleghi.
Il datore di lavoro, infatti, è libero di riconoscere ad alcuni dipendenti, in ragione ad esempio di una maggiore specializzazione, degli aumenti retributivi non attribuiti ai lavoratori dello stesso reparto e con gli stessi compiti.

Nel caso in questione la Cassazione ha confermato la sua posizione, sottolineando come i minimi retributivi previsti dai contratti collettivi si presumano adeguati ai principi costituzionali di proporzionalità e sufficienza.
Ha inoltre aggiunto che l’inadeguatezza di un determinato stipendio può essere accertata solo facendo riferimento ai parametri fissati dall’art. 36 Cost., senza che possa aver rilievo un’eventuale disposizione del contratto collettivo che preveda per alcuni lavoratori un trattamento diverso.

La Corte ha quindi respinto la richiesta del dipendente, affermando che non esiste un diritto alla parità di trattamento retributivo tra colleghi e che il maggior stipendio riconosciuto ad un lavoratore non attribuisce all’altro il diritto allo stesso beneficio o al risarcimento del danno (Ordinanza n. 8299/2019).

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