Quattro anni dopo lo scampato fallimento la coop veronese cresce nel fatturato e nel numero di dipendenti. Ed è riuscita ad investire nell’innovazione tecnologica con un impianto robotizzato
Diciassettemila chili di ghisa all’ora, pari a circa 80 mila caldaie e un milione di dischi freno l’anno. Tanto produce la nuova Cooperativa Fonderia Dante, risorta dalle ceneri dello stabilimento Ferroli (San Bonifacio, Verona) che nel 2017 ha chiuso i battenti per sempre, in seguito a una lunga crisi. Quattro anno dopo, grazie ad un’operazione di workers buyout (wbo), la rinata Fonderia Dante (che prende il nome dal nuovo fondatore) cresce nel fatturato, nel numero di dipendenti e nell’innovazione tecnologica.
Per i 62 dipendenti dell’allora stabilimento Ferroli, quattro anni fa, si prospettava con ogni probabilità la disoccupazione. Perché dopo tanti anni nello stesso posto, per lavoratori non più giovanissimi, non è così automatico trovare velocemente un nuovo impiego. Decisero di non gettare la spugna: impegnarono la propria indennità di disoccupazione (NaspiLa “Nuova Assicurazione Sociale per l’Impiego” (NASpI) è un’indennità mensile di disoccupazione, istituita in relazione agli eventi di disoccupazione involontaria che si sono verificati dal 1° maggio 2015. More), ma il capitale sociale così ottenuto non bastava ancora. Si rivolsero agli istituti di credito, e ottennero il supporto di Coopfond, Cooperazione Finanza Impresa (CFI) e Banca Etica. La Ferroli concesse gli impianti in affitto per sei anni.
Nel 2021, la cooperativa è passata dai 62 soci iniziali a 72, a cui si aggiungono 130 dipendenti. E il fatturato, che pure nel 2020 aveva registrato una perdita, è già tornato in crescita del 30% rispetto al 2019.
(Foto: Cooperativa Fonderia Dante)
In questi anni, la Cooperativa Fonderia Dante ha lavorato sui legami, sui clienti, ma anche sull’innovazione tecnologica. Due anni fa, grazie al contributo di Coopfond, ha presentato un piano d’investimenti tanto impegnativo quanto promettente, propedeutico al recupero di efficienza, allo sviluppo e alla crescita.
La cooperativa, infatti, ha acquistato un’isola di lavoro con un impianto robotizzato per l’automazioneÈ l’insieme dei sistemi e delle operazioni (specialmente elettronici) che rendono automatico un processo produttivo o di funzionamento, eliminando, del tutto o in parte, l’intervento dell’uomo. More delle lavorazioni meccaniche, del lavaggio e del collaudo. L’impianto è stato rilevato – ad un prezzo fortemente vantaggioso – dal fallimento di un importante competitor belga.
«Ogni storia di workers buyout testimonia che ci sono ancora tante persone disposte a rischiare in proprio, a scommettere sulle proprie capacità e competenze per costruire un futuro per sé e la propria comunità – evidenzia Mauro Lusetti, presidente di Legacoop nazionale – E quando le persone si mettono in gioco in prima persona è fondamentale far sentire loro il sostegno, l’appartenenza a un gruppo. Questo è il senso vero dell’essere parte del sistema cooperativo, specie in giorni difficili come questi. Unire le forze ha consentito loro di non lasciare che le energie fossero disperse. Questa funzione la cooperazione l’ha mantenuta grazie ai propri valori, quelli che hanno orientato le nostre scelte nella crisi, facendo sì che negli anni più bui abbiamo continuato a creare nuovi posti di lavoro, aumentando l’occupazione».
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