Sempre più manager donna nelle posizioni dirigenziali delle aziende. Gli obiettivi per l’executive diversity index 2030
Il Gender gap si manifesta nel mondo del lavoro in modo trasversale, andando a toccare anche i livelli manageriali delle aziende. In quest’ambito, però, l’Italia si mostra come uno dei Paesi più virtuosi in Europa per presenza di donne nei CDA delle società quotate: il target attuale del 36% sembra destinato a raggiungere quello del 40%, previsto dalla legge. Peccato che le donne non riescano ancora, e non certo per incapacità, ad arrivare ai posti di comando. In Italia, solo il 2,4% dei CEO è donna.
Secondo la società di consulenza Spencer Stuart, le donne hanno fatto passi da gigante nella leadership aziendale e nei consigli di amministrazione, ma c’è ancora lavoro da fare per raggiungere la parità.
La ricerca sulla diversità di genere nei CDA riflette progressi contrastanti: mentre le donne rappresentano rispettivamente il 46% e il 45% dei consigli di amministrazione di grandi società pubbliche in Francia e Norvegia, la rappresentanza femminile nei consigli di amministrazione è molto più bassa nella maggior parte dei 17 paesi monitorati nel 2021.
Meno del 10% dei ruoli di CEO in società pubbliche è detenuto da donne in tutti i Paesi tranne due, e la tendenza è simile per il ruolo di presidente di consiglio.
Un’altra ricerca che prende in considerazione le aziende statunitensi mette in evidenza come le donne ricoprano solo il 21% dei ruoli di C-suite, ovvero i livelli di responsabilità manageriale più elevati. Ma le istituzioni e gli investitori hanno iniziato a far pressione sulle aziende perché invertano la rotta: la presenza delle donne nel management e nelle posizioni di vertice aumenta la produttività e contribuisce a un clima aziendale più sereno e armonioso.
Come esempio da seguire, bisogna prendere i Paesi del nord Europa, grazie anche alle politiche di welfare di supporto alle famiglie, come in Svezia (20%), Irlanda (15%) e Danimarca (12%). Germania, Francia e Spagna restano, invece, in linea con l’Italia.
Negli ultimi 5 anni, Spencer Stuart ha portato all’inserimento nelle posizioni di comando oltre 1.500 donne in tutto il mondo, di cui 340 in Europa. Nello stesso arco temporale, il 43% degli inserimenti promossi dalla società nei board in Europa ha riguardato donne. Un numero cresciuto fino a raggiungere il 59% nel 2020 e il 58% nel 2021.
Se si considera solo l’Italia, negli ultimi 5 anni, Spencer Stuart ha inserito oltre 60 nuovi membri non esecutivi donne nei board, numero che rappresenta il 50% degli incarichi ricevuti in Italia. Per supportare questo processo di evoluzione, la stessa Spencer Stuart ha una larga rappresentanza femminile tra i propri dipendenti di tutto il mondo: il 66% del totale è donna, e il 40% ha un ruolo di leadership team, mentre tra i consulenti la quota è del 38%.
L’idea di definire un Executive Diversity Index 2030 come obiettivo per la parità di genere nel management parte dalle quote di genere. Esse stabiliscono una percentuale obbligatoria di presenza di entrambi i generi nelle attività lavorative, per garantirne una rappresentazione paritaria. Condizione che, spesso, manca nel mondo del lavoro e che, nella maggior parte dei casi, vede le donne meno rappresentate rispetto agli uomini.
In Italia, il sistema di quotazione è regolamentato dalla legge Golfo-Mosca del 2011. La norma prevede che il genere meno rappresentato nei consigli d’amministrazione e nei collegi sindacali delle società quotate in borsa e delle società a controllo pubblico ottenga almeno il 30% dei membri eletti. Alla sua entrata in vigore, la legge fissava la quota al 20%, portata poi a 30% nel 2015. Un emendamento alla legge di bilancio 2020 ha innalzato la quota di genere al 40%.
Ora l’Europa pensa a stabilire per il 2030 un obiettivo sulla parità di genere nel management, e creare un Executive Diversity Index a cui fare riferimento nel comporre i CDA di aziende pubbliche e private.
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