Il 15 maggio 2024, durante il grande evento di laborability, manager e CEO si sono confrontati su benefit, welfare e semplificazione dei processi
Cosa possono fare le aziende per migliorare l’esperienza lavorativa delle proprie persone? Quali sono le aree dove tipicamente il personale è insoddisfatto? Come possono incidere positivamente misure come welfare, benefit e gestione dei processi? Questi i temi di uno dei quattro panel di IMPACT2030, il grande evento di laborability dedicato al lavoro che cambia che si è tenuto lo scorso 15 maggio presso il Campus di H-Farm a Roncade (Treviso).
Durante il panel “Migliorare la qualità dell’esperienza lavorativa” si sono alternati sul palco Andrea Verani Masin, Direttore commerciale di DoubleYou, Marco Ogliengo, Founder di JetHR, e Matteo Primus, Chief Growth Officer di Eudaimon.
Per capire meglio come lavoratori e aziende si approcciano al tema del benessere sul lavoro, può essere utile delineare lo scenario dei benefit in Italia. DoubleYou, società leader nel settore del welfare che fa parte del Gruppo Zucchetti, ha condotto una ricerca su questo tema, con l’obiettivo di creare un documento che aiuti a comprendere i trend di mercato e che offra un benchmark di riferimento per inquadrare la propria azienda.
“Un primo dato che emerge – spiega Andrea Verani Masin, Direttore commerciale di DoubleYou – riguarda la crescita dell’importo medio per dipendente: dal 2021 al 2023 è aumentato del 10%, arrivando a circa 900 euro di benefit medio per dipendente nel 2023”.
“Notiamo inoltre – continua Verani Masin – che le aziende investono molto nel welfare: il 77% di quelle intervistate dice di erogarlo soprattutto da fonte on top, quindi grazie a risorse interne”.
“Questo anche perché la normativa, negli ultimi anni, ha lavorato quasi esclusivamente sui fringe benefitl’insieme dei vantaggi concessi dal datore di lavoro ai propri dipendenti come forma remunerativa complementare alla retribuzione principale (per es. auto a disposizione, borse di studio, viaggi premio, ecc.) More, che da un lato sono una risorsa importante di sostegno al reddito e dall’altro uno strumento per far ripartire l’economia.
Ma si tratta di un sistema “giusto”? Non del tutto – continua Verani Masin – nel senso che i fringe benefit non sempre rispondono alle esigenze delle persone. Dal nostro Osservatorio, infatti, emerge che mentre i giovani sembrano apprezzarli, questo non vale per le generazioni più mature. Nonostante l’innalzamento a 3.000, nel 2023 i beneficiari con figli a carico hanno speso il 12% in meno sui fringe benefit e hanno preferito orientare il budget su istruzione (+8%), caregiving e tempo libero (+4%)”.
Verani ha inoltre sottolineato l’importanza della sostenibilità ambientale e sociale, affermando che investire in diversity & inclusion e mobilità sostenibile migliora i processi aziendali, le performance, l’attrattiva sul mercato e il benessere dei dipendenti, oltre a ridurre le emissioni di CO2.
In conclusione, secondo la lettura di DoubleYou, il welfare può veramente migliorare la qualità dell’esperienza lavorativa, ma a patto che sia flessibile, per incontrare le esigenze di persone diverse, e che sia una vera fonte di sostegno al reddito, oltre a essere inclusivo, innovativo e sostenibile. Come fare?
Eudaimon nasce nel 2002 come primo player italiano a occuparsi di welfare aziendale e si basa sulla convinzione che il welfare possa essere un fattore di innovazione sociale.
“Il paradosso italiano – spiega Matteo Primus, Chief Growth Officer di Eudaimon – vede da un lato un’alta occupazione e un miglioramento delle condizioni di lavoro, dall’altro una disaffezione crescente nei confronti del lavoro. Secondo un’indagine condotta da Eudaimon in collaborazione con il Censis, anche di fronte a uno stipendio migliore e a un inquadramento più alto, succede comunemente che i giovani rifiutino l’offerta se devono spostarsi. È un dato importante, che pone degli interrogativi e descrive una situazione molto particolare, per certi versi nuova. Oggi i datori di lavoro devono rimotivare le proprie risorse”.
“Oggi – continua Primus – il mercato del lavoro è più dinamico, ma l’aspettativa sulla centralità del lavoro scricchiola rispetto agli obiettivi di realizzazione delle persone. Per le aziende questa è una sfida, e il welfare può essere una risposta. Quale welfare? Sicuramente il welfare finanziario, che sta crescendo e se viene comunicato bene viene usato molto, sia dalle aziende che dagli utenti. Ma anche il welfare sociale, come risposta a bisogni individuali, dove l’azienda mette a disposizione soluzioni e servizi a supporto del lavoratore in specifici momenti della vita”.
“In generale – conclude Matteo Primus – questo è un buon periodo per il welfare: i dati ci confermano che nel 2024 l’81,8% degli intervistati sa cos’è e il 32,7% sa cos’è in modo preciso. Questi dati sono triplicati rispetto ad alcuni anni fa. Tuttavia il lavoratore ha dei desideri precisi al riguardo, che consistono non solo nell’avere più forme di welfare ma anche nell’avere delle misure adatte alle sue esigenze. Le aziende devono imparare a cogliere cosa poter offrire alle persone in base all’età, alla situazione familiare, all’inquadramento che la persona ha anche al di fuori dell’ambito lavorativo”.
Un altro fronte d’azione, per migliorare il benessere delle persone al lavoro, è quello della semplificazione burocratica. Si tratta di un ambito in apparenza distante dal benessere delle persone ma che in realtà è strettamente connesso: pensiamo solo a quanto tempo si spreca per pratiche come le buste paga o per inquadrare correttamente un nuovo assunto. Operazioni che, se potessero prendere meno tempo e meno impegno, ridurrebbero conseguentemente lo stress e la dispersione di energie.
Un esempio pratico? “L’Italia – spiega Marco Ogliengo, Founder di JetHR – è la capitale mondiale della burocrazia. Non esiste paese al mondo che raggiunga il nostro livello: abbiamo 992 CCNL tra cui uno per allevatori di cavalli da trotto, uno per allevatori di cavalli da galoppo, ccnl che in Italia riguardano un solo lavoratore e altri che cambiano a seconda di quanti giorni ha piovuto nell’arco del mese. Per non parlare degli inquadramenti: solo nel commercio ci sono più di 30 mansioni, e comunque nel caso delle nuove professioni non è mai facile capire come inquadrarle, con tutto il rischio che deriva da un possibile sottoinquadramento o soprainquadramento”.
“Questa complessità – sottolinea Ogliengo – si riflette nei costi amministrativi mensili per ciascun dipendente. In Italia si parla di 30 euro per dipendente, in Francia 25, in Germania 15, in UK e Usa 5. Nel confronto con i vicini tedeschi, per noi la spesa è doppia. Risultato: gli HR dedicano il 60% del tempo per gestire la burocrazia e solo il 40% al lavoro strategico con i dipendenti. Sprechiamo da 2 a 5 ore per assumere una persona perché dobbiamo passare tanto tempo a raccogliere dati, fare l’onboarding, definire le mansioni. 8-10 ore ogni mese vengono sprecate per pagare i dipendenti: dobbiamo considerare ferie e permessi, calcolare i buoni pasto, bonus e trasferte, verificare situazioni particolari e fare il bonifico”.
La risposta di JetHr a questi problemi viaggia su quattro binari:
L’obiettivo? “Gestire 50 dipendenti in un’ora al mese”, e liberare il resto del tempo per attività strategiche.