Il primo metodo di coaching dedicato alla maternità, ideato da Brainheart per supportare gli HR nella gestione delle mamme lavoratrici in azienda
Brainheart è una società che si occupa di fornire servizi di formazione, consulenza e coaching nelle organizzazioni, aiutando gli HR ad affrontare e risolvere problematiche e criticità che si possono presentare nel contesto aziendale. Nella fattispecie, la società propone percorsi di coaching e formazione per valorizzare le competenze e i talenti delle risorse umane, dal potenziamento della leadership a quello delle soft skills, a consulenze per agevolare la propensione al cambiamento. In particolare, unico esempio in Italia, Brainheart ha elaborato il metodo ME FIRST, un percorso di coaching strettamente dedicato alla maternità, che accompagna le donne nel reinserimento in azienda e nella riscoperta della loro dimensione professionale.
Il metodo prevede un programma di coaching mirato alle mamme che lavorano in azienda, organizzato in gruppi di mamme che possono essere anche cospicui, della durata di 4 settimane, con un follow up conclusivo a distanza di tre mesi dalla fine del percorso. Rientra nel metodo anche la community predisposta per le mamme partecipanti, che possono interagire fra loro 24 ore su 24, e i due salotti in cui anche i papà vengono coinvolti in un’attività di condivisione e confronto. ME FIRST si articola in diverse fasi, ognuna incentrata su una tematica precisa legata alla maternità.
«ME FIRST è un acronimo che definisce le differenti fasi del metodo – spiega Cristina Di Loreto, Founder e Ceo di Brainheart –. In questo caso la lettera ‘m’ sta ad indicare il primo, importante momento del percorso di coaching, in cui la mamma viene supportata nell’assunzione di responsabilità verso sé stessa. Il coach la aiuta a comprendere che è giusto prendersi cura di sé, oltre che dei propri figli».
«La partecipante viene aiutata a fare un’analisi delle proprie risorse personali, anche di quelle potenziali, in modo da renderla consapevole delle soft skill che ha disposizione, e che può utilizzare per raggiungere un equilibrio tra la sfera famigliare e quella lavorativa. È sempre un punto di partenza, per un cambiamento molto più profondo del mindset della persona».
F sta per “flessibilità”, I sta per “immersione”, ed R sta per “ritualità”.
«La flessibilità è necessaria per gestire il senso di inadeguatezza come madre – specifica Cristina Di Loreto –, evitando di cadere nell’inganno e nell’antico stereotipo secondo cui dedicarsi alla professione, o alla cura di sé, non si addica ad una buona madre. L’immersione, a tal proposito, è una specie di “vaccino” ai sensi di colpa: immergersi nell’attività lavorativa permette alla mamma di tornare in azienda, sganciandosi emotivamente da un modello malsano. E ogni cambiamento profondo passa attraverso la ritualizzazione di azioni concrete, così che nel tempo diventino abitudini consolidate. Ad esempio, organizzare la gestione dei figli al mattino, almeno per un paio di giorni alla settimana, consente alla mamma di avere del tempo da dedicare a sé stessa, che sia per fare attività fisica piuttosto che leggere un libro. Sono cambiamenti che devono diventare vere e proprie prassi».
«I coach forniscono le strategie necessarie per mettere in atto tutte queste trasformazioni. Abbiamo messo a punto dei “kit” per la gestione dei sensi di colpa, della comunicazione, del tempo, della relazione di coppia e delle emozioni delle mamme. Ma in ogni processo di problem-solving che si rispetti, si annidano le “trappole” che potrebbero mettere a rischio il cambiamento. Conoscere quali potrebbero essere diventa fondamentale, per gestirle preventivamente, prima che inizio a manifestarsi. Con quest’ultimo passaggio termina il percorso di coaching, i cui risultati vengono ripresi in esame con un follow up, a distanza di tre mesi. Specifico che, se richiesto, in casi che lo necessitino trasferiamo il percorso di coaching ad una dimensione personale».
Il VI Rapporto di “Save the Children” segnala che, nel corso del 2020, in Italia hanno perso il lavoro 96.000 mamme. Un dato preoccupante: molte donne si trovano senza occupazione, rischiano di dover affrontare un pesante disagio psicologico e, dall’altra parte, le aziende perdono competenze e professionalità importanti. «Ci rivolgiamo agli HR perchè è fondamentale comprendere quanto non investire nell’accompagnamento delle mamme incida negativamente sull’azienda, che rischia di avere un alto turn-over, e dunque perdere risorse professionali consolidate, e quindi capacità produttiva.
L’OMS ha stimato che il ritorno medio dell’investimento che le organizzazioni mettono in campo sul benessere mentale delle proprie persone ha un rendimento pari a 3 volte ogni dollaro investito. Dopo l’emergenza covid il benessere mentale, e l’attenzione ad esso anche in azienda, dovrebbero diventare un must, e non più illuminazione di pochi».