Ne parliamo con Fortunato Costantino, Direttore Risorse Umane, Affari Legali e Societari in Q8 Kuwait Petroleum S.p.A
Le nostre storie di lavoro vogliono dare spazio a professioniste e professionisti che lavorano con le persone: HR manager, imprenditori e imprenditrici, CEO, ma anche team leader, che anche se non si occupano di risorse umane nel quotidiano, oggi più che mai sono chiamati a contribuire al wellbeing aziendale.
Fortunato Costantino è Direttore Risorse Umane, Affari Legali e Societari in Kuwait Petroleum Italia S.p.a., meglio nota come Q8, società attiva nella distribuzione di carburante, biofuel e carburanti alternativi e affiliata della Kuwait Petroleum International, società responsabile per le attività di raffinazione e distribuzione di prodotti petroliferi al di fuori del Kuwait.
Dopo la formazione in ambito giuridico, l’abilitazione alla professione forense e una prima esperienza da libero professionista specializzato nel diritto di impresa e diritto del lavoro, Costantino è entrato rapidamente nel mondo dell’impresa, incominciando ad apprendere e forgiare le sue competenze “aziendali” e quelle manageriali.
In Q8 è entrato inizialmente come avvocato d’impresa, poi ha scoperto nuove competenze e nuove passioni: la sua carriera ha preso così una strada inaspettata, portandolo nel mondo delle risorse umane. E qui ha trovato la sua dimensione: la solida formazione giuridica e l’approfondita esperienza in azienda gli permettono infatti di ricoprire oggi un ruolo dalle molte sfaccettature, in grado di trovare un difficile equilibrio tra normative stringenti, anche internazionali, modelli complessi di governance aziendali e obiettivi sfidanti di business.
“Sono molte e spaziano dalla sostenibilità ESG, alla business ethics, alla transizione energetica ed alla digitalizzazione dei processi con i connessi aspetti di cibersecurity. Sfide che hanno ricadute potenti non solo in termini di complessità normativa da gestire e applicare alla contingente realtà aziendale, ma anche in termini di impatti gestionali e operativi sull’organizzazione del lavoro e sulla necessità di adozione di nuovi “ways of working”, che pretendono certezza di presidio e governo.
Ma la sfida oggi più rilevante e critica è, a mio parere, quella della sostenibilità. Se ne parla continuamente, ma per lo più riferendosi quasi esclusivamente alla sostenibilità ambientale. Eppure l’ambiente è solo uno, certamente rilevante, degli ambiti di incidenza della sostenibilità.
Se noi pensiamo ai 17 obiettivi per lo sviluppo sostenibile fissati dall’AGENDA 2030 sono molteplici le dimensioni che vengono in rilievo e che richiedono un approccio integrato: sostenibilità sociale, istruzione di qualità, salute e benessere, pace e giustizia, lavoro dignitoso e crescita economica, solo per citarne alcuni.
L’obiettivo degli HR, in relazione alla sostenibilità sociale, è quello di ripensare l’organizzazione del lavoro rendendola socialmente sostenibile, mettendo al centro lo sviluppo umano e il benessere dei dipendenti non solo come riconoscimento dell’importanza del valore dell’individuo ma al contempo anche come leva incrementale della employer reputation e della competitività aziendale.
Con questa prospettiva, dobbiamo chiederci che tipo di formazione e competenze privilegiare non solo per supportare le strategie di business ma anche per incrementare la employability dei dipendenti, quali siano i migliori percorsi di welfare e di wellbeing, quali le politiche innovative di rewarding, attraction e retention.
E ancora, non da ultimo, come usare al meglio le tecnologie intelligenti data driven che senza dubbio aiutano moltissimo la gestione dei processi HR e la comprensione dei bisogni organizzativi, ma che al contempo sono sempre più invasive e richiedono un effettivo governo da parte delle aziende in termini di rispetto della dignità del fattore umano, che mai deve essere recessivo rispetto alla potenza computazionale dell’algoritmo, e che soprattutto deve essere protetto da fenomeni sempre più frequenti e critici, propri della condizione di connection always on conseguente alla pervasività delle tecnologie intelligenti, come ad esempio quello del work-life blending e del digital burnout. Tutto questo ricade nell’ambito degli obiettivi di sostenibilità sociale dell’organizzazione del lavoro”.
“Ci stiamo muovendo appunto nella direzione di rinsaldare le fondamenta di una organizzazione del lavoro sempre più socialmente sostenibile. In questo contesto, abbiamo ad esempio recentemente rivisto il sistema delle competenze aziendali e distribuito una Guida al lavoro sostenibile, suggerendo best practice e comportamenti virtuosi che toccano, ad esempio, l’orario di lavoro nel rapporto con la vita privata e familiare, il diritto al riposo e alla ferie, i criteri di pianificazione delle riunioni aziendali.
Tutto ciò nell’ottica di creare un ambiente di lavoro che possa efficacemente promuovere l’equilibrio dinamico tra esigenze aziendali e esigenze personali del dipendente, ma soprattutto un ambiente di lavoro in cui si gode di una fiducia reciproca, aperto alla crescita personale ed aziendale, in cui le persone possa sentirsi “psicologicamente sicure”, e mai sotto assedio.
Non solo, nel 2021 abbiamo avviato un programma di Total Wellbeing, per ascoltare e misurare con cadenza periodica gli effettivi bisogni dei nostri colleghi, non solo in termini di benessere psico fisico, ma anche di carattere relazionale, culturale e sociale, definendo al contempo iniziative di welfare, wellbeing e work-life balance mirate, ed effettivamente utili alla popolazione aziendale.
Sono fermamente convinto che un’organizzazione del lavoro socialmente sostenibile già oggi rappresenti la più importante leva in termini di attraction e retention dei talenti, ben oltre le tradizionali dinamiche retributive.
Le nuove generazioni chiedono naturalmente uno stipendio appagante, ma cercano di fatto anche qualcosa in più. Lo ha dimostrato il fenomeno della “great resignation”: il posto fisso non ha più l’attrattiva che aveva per le generazioni precedenti.
Gli obiettivi delle persone sono cambiati: rimanere sino a pensione in un’azienda non è più un obiettivo personale e professionale “strategico”. Lo è invece far parte di un ambiente di lavoro stimolante, non monotono, ed essere attore di un percorso professionale gratificante ricco di esperienze diversificate e motivanti, che permetta di assecondare le proprie potenzialità e talenti, ma soprattutto di sviluppare le soft skill, e cioè il complesso di aspetti caratteriali e comportamentali, capacità relazionali e di intelligenza emotiva e sociale, imprescindibili in ciascun profilo professionale e senza dei quali le stesse competenze hard, ovvero quelle tecniche, professionali e linguistiche, potrebbero non essere sufficienti per assicurare un percorso di carriera spedito e strutturato.
È per questo che le soft skill sempre più sono ritenute, specie nell’ambito di organizzazioni complesse come quelle aziendali, portatrici di un valore assoluto, pari se non superiore a quello delle hard skills.
Viviamo in contesti sociali, economici e lavorativi ormai sempre più fluidi e incerti dove per non perdere il senso dell’orientamento bisogna essere capaci del “to deal with ambiguity”.
Parallelamente anche i ruoli e le mansioni in azienda, complice il passaggio sempre più diffuso e consapevole da un approccio waterfall ad un approccio agile, risulteranno sempre più caratterizzati dalla interdisciplinarietà e cioè la capacità di sapere agire in spazi di interscambio multi-settoriali e cross-dipartimentali, con una visione sistemica e d’insieme dell’organizzazione e dei suoi obiettivi.
Per definire specificatamente la capacità di transitare velocemente e fluidamente da una dimensione ad un’altra dell’organizzazione così come da un’attività a un’altra, generando al contempo valore competitivo, recentemente in ambito HR ha preso a essere utilizzata la parola “transilienza” che è data dall’unione di transizione e resilienza e che ci spiega in maniera intuitiva ed efficace come in ogni cambiamento (transizione) possiamo trarre il meglio solo se, attraverso la capacità di resistere ad eventi traumatici (resilienza), riusciamo agevolmente a trasferire competenze, attitudini, skills ed energie da una parte all’altra delle nostre molteplici dimensioni identitarie, personali e professionali. Ecco, questa per me è oggi la soft skill più utile di altre.
“Naturalmente. E lo abbiamo fatto attraverso un profondo ripensamento del nostro Head Office in ottica di smart office ovvero di progettazione di nuovi ambienti con caratteristiche tali da rispondere in maniera mirata a specifiche esigenze con la possibilità di scegliere di volta in volta lo spazio di lavoro più adatto alla specifica attività.
Attività diverse richiedono infatti spazi diversi, alcuni con caratteristiche che aiutino il pensiero creativo o la concentrazione, altri dedicati alla collaborazione, altri ancora a pause e socializzazione. Spazi che devono essere accoglienti e confortevoli, e ovviamente integrati con tecnologie digitali che ne favoriscano piena fruibilità, efficacia ed efficienza.
Insomma non più l’individuo al servizio del luogo di lavoro ma il luogo di lavoro al servizio dell’individuo e dei suoi bisogni, lavorativi e non.
Abbiamo scelto di accettare tutte le nuove sfide, e questo ci sta aprendo le porte a un sistema del lavoro più sostenibile, più sano e più rispondente ai reali bisogni delle persone”.
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