No al licenziamento lavoratore tossicodipendente in riabilitazione

No al licenziamento del lavoratore tossicodipendente in riabilitazione
(foto Shutterstock)

La legge prevede uno speciale diritto alla conservazione del posto di lavoro per chi comincia un percorso di disintossicazione

La Corte di Cassazione, con la sentenza 24453 del 8 agosto 2022, ha dichiarato illegittimo il licenziamento stabilito da un’azienda dopo aver appreso, in seguito ai controlli tossicologici, che un proprio lavoratore è tossicodipendente.

C’è una precisa norma che tutela il dipendente nel caso in cui intenda iniziare un percorso di riabilitazione: l’art. 124 del Testo unico sugli stupefacenti prevede uno speciale diritto alla conservazione del posto a favore di tutte le persone che si sottopongono a un periodo di cura.

Il caso

In occasione di una visita medica finalizzata ad accertare l’uso di sostanze stupefacenti, un lavoratore risulta positivo alla cannabis. Considerate le mansioni del lavoratore (pilota di aereo), la società ritiene il fatto di gravità tale da non consentire più la prosecuzione del rapporto.

Nel frattempo, però, prima ancora della contestazione disciplinare, il dipendente aveva cominciato un procedimento di riabilitazione. Per questa ragione impugna il licenziamento, ritenendo di aver diritto alla conservazione del posto fino al positivo completamento del percorso disintossicazione. 

Quando il dipendente tossicodipendente ha diritto a conservare il posto?

L’accertamento dell’uso di droghe può avere serie conseguenze sul piano disciplinare. Se all’esito delle visite tossicologiche emerge che il dipendente abbia fatto uso, la società può avviare il procedimento disciplinare.

Potrebbe anche decidere per il licenziamento, contestando l’inutilizzabilità della prestazione «correlata alla sfera soggettiva professionale del lavoratore», oppure l’inidoneità alla mansione. 

Tuttavia, il lavoratore può evitare le sanzioni disciplinari se comincia un percorso di disintossicazione. Il Testo unico sugli stupefacenti, infatti, contiene una previsione speciale che attribuisce il diritto alla conservazione del posto di lavoro.

L’art. 124  recita che «I lavoratori di cui viene accertato lo stato di tossicodipendenza, i quali intendono accedere ai programmi terapeutici e di riabilitazione presso i servizi sanitari delle unità sanitarie locali o di altre strutture terapeutico-riabilitative e socio-assistenziali, se assunti a  tempo indeterminato, hanno diritto alla conservazione del posto per il tempo in cui la sospensione delle prestazioni lavorative è dovuta all’esecuzione del trattamento riabilitativo e, comunque, per un periodo non superiore a tre anni».

La riabilitazione deve iniziare prima

L’aspetto temporale è fondamentale per evitare le conseguenze disciplinari. Il dipendente deve iniziare, o quantomeno iscriversi, a un percorso riabilitativo prima che la società lo licenzi. Solo in questo modo può esercitare il diritto alla conservazione del posto e godere del periodo di aspettativa non retribuita.

Per quale motivo? Il dipendente deve dimostrare la propria buona volontà prima di conoscere il provvedimento sanzionatorio adottato dall’azienda; allo stesso tempo l’azienda, appresa la notizia dell’avvio della riabilitazione, deve interrompere il procedimento disciplinare.

Cosa succede se interrompe la riabilitazione?

Innanzitutto bisogna chiarire che il diritto alla conservazione del posto è legato all’effettiva frequenza del percorso riabilitativo e, in ogni caso, fino a un massimo di tre anni. 

Se il dipendente abbandona la terapia, perde il diritto alla conservazione del posto e può essere nuovamente soggetto a contestazione disciplinare. Lo stesso vale nel caso in cui il percorso riabilitativo non si concluda positivamente: in questo caso, al rientro in azienda, il dipendente, in seguito a una nuova visita, potrà essere dichiarato non idoneo alla mansione e licenziato per giustificato motivo oggettivo.

 

 

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