Il dipendente di un ufficio di un comune campano aveva denunciato i propri superiori perché avevano commesso alcuni reati sul lavoro.
A seguito della denuncia, il dipendente è stato sospeso dal servizio, la prima volta per 10 giorni e la seconda per 12 giorni, in entrambi i casi con la privazione della retribuzione.
Il denunciante aveva chiesto di essere riconosciuto come whistleblower (“fischiatore”, termine usato per indicare chi segnala la commissione di illeciti sul lavoro): questa qualifica, tuttavia, gli era stata negata dai propri superiori perché, al momento della denuncia, il dipendente si era identificato e non aveva mantenuto l’anonimato.
Cosa fare se si viene a conoscenza di illeciti sul lavoro? E cosa succede se gli illeciti vengono segnalati?
L’obiettivo della legge (179/2017) è quello di contrastare i fenomeni di corruzione all’interno della pubblica amministrazione, riconoscendo una specifica tutela al dipendente che segnala gli illeciti di cui sia venuto a conoscenza nello svolgimento della propria attività lavorativa (whistleblower).
Gli illeciti possono essere segnalati direttamente all’Autorità Nazionale Anticorruzione (Anac), al responsabile della prevenzione della corruzione, o possono essere denunciati all’autorità giudiziaria.
È vietato sanzionare, demansionare, licenziare, trasferire o sottoporre ad altra misura organizzativa avente effetti negativi sulle condizioni di lavoro, il dipendente che abbia segnalato l’illecito.
In caso contrario, l’Anac può adottare sanzioni da 5 mila a 30 mila euro, mentre l’importo cresce da 10 mila a 50 mila euro in caso di mancata analisi delle segnalazioni ricevute.
L’Anac, con delibera 782 del 4 settembre 2019, ha, in primo luogo, definito il denunciante come whistleblower, proprio in ragione del fatto che questo soggetto, al momento della denuncia, ha provveduto ad identificarsi.
L’Autorità ha qualificato i provvedimenti adottati nei confronti del whistleblower come ritorsivi, perché espressamente diretti a punire il lavoratore per aver segnalato gli illeciti, e ha condannato il responsabile al pagamento di una somma pari a 5 mila euro.
Si tratta della prima sanzione per ritorsione su un dipendente adottata dall’Anac dall’entrata in vigore della legge 179/2017.