Valentina Dolciotti, fondatrice del trimestrale, racconta il suo percorso come consulente e l’importanza del ruolo delle imprese nel promuovere la D&I
Le aziende possono fare moltissimo sul fronte dell’inclusione, perché muovono masse critiche enormi: a partire dalle loro persone (che siano duecento, duemila o ventimila) e allargandosi ai loro stakeholder e ai consumatori. Ogni loro azione ha una potenziale eco enorme, per questo vale la pena stimolarle e anche raccontare i loro progetti.
Parola di Valentina Dolciotti, consulente in tema di inclusione da oltre dieci anni e fondatrice del trimestrale DiverCity Mag. Dolciotti è intervenuta nel corso del terzo incontro della “Scuola di leadership” promossa da Solgar Italia Multinutrient e SHR Italia.
«Mi occupo di diversity&inclusion da dieci anni» spiega Dolciotti «e all’inizio non è stato facile. Era tutto un po’ più complesso e complicato, perché bisognava spiegare tutto: a partire dall’acronimo, D&I, perché questo tema è così importante, perché in Italia non se ne parlava quasi per nulla mentre all’estero c’era già molta più attenzione.
Dopo quattro anni di lavoro con le grandi aziende, ho deciso che era il momento di raccontare un fenomeno che esisteva, pur nel silenzio generale. Mi sono impuntata e ho cominciato a girare l’Italia intervistando diversity manager, figure che sembravano mitologiche quando andavo a parlarne nelle aziende».
Da questa esperienza è nato un libro (Diversità e inclusione, con prefazione di Monica Cirinnà e postfazione di Telmo Pievani) e, poi, una rivista, di cui Valentina Dolciotti è direttrice.
«Ho pubblicato il libro nel 2016» spiega l’autrice «e subito dopo è nata l’idea di una rivista. Una pubblicazione cadenzata, tematica e sempre aggiornata ci era sembrata migliore per raccontare il cambiamento. Così siamo partiti con un solo primo sponsor che ci aveva finanziato 500 euro per la stampa. Il primo numero aveva venti sole pagine. Oggi siamo arrivati a toccare le 180 e abbiamo una schiera molto numerosa di aziende che hanno scelto di sostenerci».
Fra queste: Sky, TikTok, Mutti, Barilla, Coop, Ikea, Lavazza, Illy, Decathlon, Pfizer e moltissime altre.
La rivista si occupa di diversità e inclusione a 360 gradi, con una parte dedicata alle aziende che la sostengono e una parte dove associazioni, onlus, ong e semplici cittadini possono raccontare e raccontarsi in modo libero e gratuito.
«La nostra idea» spiega Dolciotti «era quella di voler riunire il mondo aziendale che si occupa di tematiche di inclusione. Con tutti i limiti e le difficoltà che le aziende possono incontrare naturalmente, compreso il rischio costante di errori e scivoloni. Ma anche con la certezza del peso che hanno le loro azioni nel muovere masse critiche che prendono decisioni. Le migliaia di persone che lavoro al loro interno, gli stakeholder, consumatrici e consumatori. Quando un’azienda fa una scelta di campo si muove sempre qualcosa».
«Pensiamo» continua la direttrice di DiverCity Mag «alle aziende che già prima della legge Cirinnà concedevano il congedo matrimoniale anche alle coppie dello stesso sesso. Erano un passo avanti alla normativa e hanno anticipato un cambiamento culturale che poi è stato effettivamente sancito dalle nuove leggi. Sono molto convinta che le aziende possono essere grandi alleate del cambiamento».
«Allo stesso tempo» dice Dolciotti «sulla rivista diamo ampio spazio a tutto ciò che azienda non è, e in particolare a chiunque voglia scrivere e raccontare progetti di inclusione. DiverCity è divisa in due: da un lato le aziende, dall’altra le associazioni. E di volta in volta, attraverso i loro racconti, approfondiamo un tema specifico. Abbiamo parlato, ad esempio, di generi, di generazioni, di bellezza, di linguaggio, di sostenibilità».
Ogni numero ha un protagonista che dà il volto alla copertina. Finora, fra i tanti, sono comparsi: Telmo Pievani per la sostenibilità, Luciano Canfora per il linguaggio, Giorgio Armani per la bellezza.
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