A raccontare le iniziative di Carter & Benson è William Griffini, AD della società di consulenza, intervenuto ad Agenda2030
In Carter & Benson, società milanese leader nella consulenza e selezione di figure manageriali, si lavora il 20% di ore in meno rispetto allo standard, con la massima flessibilità.
Non solo: l’ufficio ha più postazioni che dipendenti, in modo da permettere ai collaboratori di portare un amico, le azioni di welfare sono condivise e non si contano le iniziative per la sostenibilità e per il sociale: dalla scelta dei fornitori e dei materiali utilizzati per gli uffici, all’impegno verso l’ambiente attraverso l’uso di energia e risorse naturali.
A raccontare l’esperienza della società è l’amministratore delegato William Griffini, intervenuto ad Agenda 2030, “Il Futuro al lavoro”.
«Siamo un’economia molto particolare» spiega Griffini «quando ho iniziato a lavorare in questo mondo gli orari erano 8 di mattina-mezzanotte, sabato e domenica sistemavi i powerpoint, non c’era il concetto di libertà lavorativa. Era un’economia molto severa lavorativamente parlando, e crescendo in quell’ambiente noi manager abbiamo assorbito quel tipo di modello, così devi fare se vuoi fare carriera.
Io dopo un po’ mi sono chiesto se ne valeva la pena e mi sono risposto di no. A 29 anni mi sono staccato per fondare Carter&Benson in Italia, e all’inizio ho tentato di replicare questo modello. Non ci credevo tanto, quando le persone andavano via alle 6 mi veniva un po’ di ansia. Poi ho capito che il tema del controllo e del tempo non era sicuramente il parametro su cui lavorare».
«Così abbiamo cominciato a cambiare approccio. Abbiamo introdotto lo smart workingÈ una nuova modalità di svolgimento dell’attività lavorativa, introdotta dalla l. 81/2017 e caratterizzata dall’assenza di precisi vincoli di orario e di luogo di lavoro per il dipendente. More nel 2005, eliminato il badge, adottato un’organizzazione molto flessibilie. Poi il resto è venuto cammin facendo: oggi lavoriamo quattro giorni su cinque. Non nel senso che chiudiamo il venerdì, abbiamo solo ridistribuito le risorse.
Abbiamo iniziato a pensare che il mondo del lavoro non ha bisogno di persone che lavorano tutte h24, e non è solo una questione di stanchezza ma di equità: questa concentrazione crea uno squilibrio molto forte tra chi lavora troppo e chi un lavoro non ce l’ha».
Sul tema della settimana corta, la stampa ha spesso veicolato il messaggio che pur lavorando meno si può produrre di più. «Ma questo» ribatte Griffini «è impossibile, impensabile, non è vero. Se una risorsa lavora in modo performante, e la fai lavorare per meno ore produrrà meno, non può essere diversamente.
Noi abbiamo tagliato un 20% di ore che ogni dipendente può distribuire come vuole: può stare a casa un giorno, due mezze giornate, chi ama dormire può arrivare ogni giorno alle 11. Ma queste ore che mancano andavano compensate».
«Noi l’abbiamo fatto in due modi: prima di tutto con un upgrade tecnologico fortissimo, per agevolare e abilitare qualsiasi tipo di produzione aziendale. In secondo piano abbiamo aumentato il numero di risorse. Non ci è sembrata una scelta insensata, nemmeno coraggiosa, semplicemente consapevole. Il nostro profitto non è tutto per i dipendenti ma non vogliamo nemmeno escludere le persone che hanno contribuito a quel successo».
«Il nostro esperimento» continua l’ad di Carter&Benson «è andato abbastanza bene: abbiamo costruito un fondo e investito in 52 aziende, facciamo parte di siamo stati i primi a portare in Italia The Executive Award, un premio legato ai temi esg, abbiamo cercato di mappare tutti i fornitori e agire su ogni tipo di leva legata a persone e ambiente.
Abbiamo portato avanti iniziative anche banali: un’arnia per ogni dipendente, un albero per ogni candidato fatto assumere. Poi siamo diventati società benefit, ci siamo certificati per il gender pay gap, abbiamo assunto in azienda categorie diverse, dando un lavoro a disabili molto gravi. Quello che ho fatto è quello in cui credevo».
Sul fronte dei benefit Carter&Benson non teme rivali, mentre i portali dedicati al welfare si sono sempre rivelati un esperimento fallimentare. «Metà della mia popolazione è giovane» spiega Griffini «e preferisce avere soldi per andare a bere birrette.
Allora mi è sembrato più intelligente e utile stringere una convenzione con due pub. Mi è sembrato più intelligente e utile. L’esperimento è piaciuto molto più di qualunque altra azione di welfare».
«Un altro esperimento che stiamo portando avanti» prosegue l’ad «riguarda l’ufficio: in un mondo in cui le persone non vogliono più lavorare in ufficio, abbiamo aumentato scrivanie, abbiamo più postazioni che dipendenti. Abbiamo scelto di puntare sulla socialità in modo diverso: da noi ogni collaboratore può venire a lavorare con chi vuole, ad esempio un amico o un figlio.
Pensiamo che le società, non solo la nostra, sono dell’insieme e all’insieme devono restituire. Non dobbiamo solo fare profitto, dobbiamo stare meglio noi e restituire alla comunità un pezzo importante di questo profitto. Noi lo facciamo» chiosa Griffini, «guadagniamo bene e siamo felici».