Il sociologo e saggista traccia i cardini del nuovo modo di lavorare, reso oggi evidente anche dalla consapevolezza acquisita dopo la pandemia
Due sono le grandi transizioni in atto: quella ecologica e quella digitale. Queste rivoluzioni hanno cambiato e stanno cambiando il nostro modo di lavorare, ma la nostra attenzione deve concentrarsi anche sulla necessaria alleanza intergenerazionale, sull’equilibrio tra vita privata e professionale e su una visione di lungo termine che tenga al centro il bene comune.
Da queste considerazioni muove l’intervento di Francesco Morace, sociologo e saggista, fondatore del Future Concept Lab, e autore di numerosi saggi: l’ultimo è L’Alfabeto della Rinascita. 26 storie di imprese esemplari (2021).
Morace ha preso parte ad Agenda 2030, “Il Futuro al lavoro”, evento dedicato ai temi del lavoro che cambia, e promosso da WI LEGAL, uno dei più importanti studi di diritto del lavoro, e SHR Italia, società leader nell’informazione, formazione e ricerca sui temi giuridici che interessano il mondo del lavoro.
«Prima della pandemia» spiega Morace «il tema chiave era l’intelligenza artificiale. Oggi non dico che non ne parla più nessuno ma oggi tema è il nuovo equilibrio che ciascuno di noi vuole creare tra lavoro e vita personale, tra famiglia o tempo libero.
Veniamo da un tempo in cui non c’era nessuna frontiera tra lavoro e vita privata, invece oggi abbiamo capito l’importanza di ridefinire i confini. Abbiamo riscoperto il valore della relazione con i figli, la famiglia, gli animali domestici. Abbiamo capito che i nostri affetti vanno protetti dal tempo di lavoro, che rischiava di diventare pervasivo».
Un secondo tema chiave, per Morace, è quello dell’alleanza intergenerazionale. «Le diverse generazioni» spiega «possono e devono lavorare insieme. Le alleanze intergenerazionali sono fondamentali per le organizzazioni e per i luoghi del lavoro. E non in forma paternalistica, no, è un’assoluta opportunità che noi adulti abbiamo cogliere.
Perché saranno i giovani a governare con più efficacia la dimensione digitale, ma non possiamo chiedere ai giovani la direzione, o di saper incanalare il loro talento, è una responsabilità che abbiamo noi».
Un altro punto importante: «tutti noi» continua Morace «oggi parliamo di benessere ma dobbiamo parlare anche di “essere bene”. Attenzione perché alla realtà aumentata dalle tecnologie dobbiamo rispondere con l’estetica aumentata. Su questo noi italiani siamo bravi e siamo facilitati, perché viviamo in un luogo che sancisce la superiorità della bellezza e del design.
Ma attenzione, perché anche l’etica deve essere aumentata. Dobbiamo accettare delle nuove regole, trattarle insieme ma è in una dimensione valoriale ed etica nel senso più stretto che dobbiamo lavorare.
E non dobbiamo banalizzare il tema dello sharing: la questione non è la condivisione di spazi o di tempo, ma di protocolli collaborativi. E su questo le nuove generazioni hanno moltissimo da insegnarci, perché sono abituati a lavorare in gruppi dove a ciascuno viene riconosciuto un talento.
Oggi abbiamo capito, anche sulla scia di quanto ci ha insegnato Papa Francesco, che da soli non si va da nessuna parte. Con le parole del sociologo Jacques Moreau, siamo una comunità di destino. La pandemia ci ha insegnato, e anche la guerra ce lo sta dimostrando, che nessuno può tirarsi fuori dal gioco».
Un altro tema di grande rilevanza è quello delle competenze, perché «prima del lavoro» dice Morace «dobbiamo cambiare noi e il nostro modo di essere al lavoro. Le competenze devono essere al centro e dobbiamo ragionare in un’ottica di medio o lungo termine.
Se lasciamo il breve periodo e ci spostiamo su un orizzonte più lungo tutto diventa non dico più semplice, ma più chiaro. Anche per chi ha vent’anni e sta cercando di costruire il proprio percorso: i giovani vivono in un mondo liquido, è vero, ma cercano puntelli e punti di riferimento solidi, credibili, visionari».
«In ultimo» chiude il sociologo «vorrei parlare della catena della fiducia. Immaginiamo una catena che però può arrugginirsi e spezzarsi. Negli ultimi anni si sono spezzati molti anelli di questa catena.
Invece, in tutte le attività, in qualsiasi mestiere e in qualsiasi professione la fiducia deve essere l’elemento chiave per costruire, passo dopo passo, la propria credibilità. Forse» chiosa «non dovremmo parlare di storytelling ma di story doing: dobbiamo raccontare quello che sappiamo fare, costruendo la nostra credibilità passo dopo passo».
Leggi anche:
Agenda 2030, un evento di successo alla Triennale di Milano
Jeremy Rifkin: la terza rivoluzione industriale all’insegna dell’adattabilità