Dal 2017 il Winning Women Institute ha certificato 12 aziende per la gender equality: un riconoscimento che arriva dopo un percorso di audit articolato e rigoroso
La parità di genere determina un vantaggio competitivo: ne sono certi i fondatori del Winning Women Institute, che per dimostrarlo hanno ideato un “bollino di qualità”. Una certificazione ufficiale, per far vedere non solo che eliminare il gender gap è un obiettivo possibile, ma anche che qualcuno ci è già riuscito. L’istituto nasce nel 2017 e nel giro di tre anni ha già certificato una dozzina di aziende (Cameo, Grenke, Alés Groupe, Biogen, Allianz Partners, Amgen, Sanofi, Sas, Ipsen, Humana, BNP Paribas, Carter&Benson).
Quella condotta dal WWI è un’indagine approfondita e molto rigorosa, che poggia su quello che l’associazione definisce “Dynamic Model Gender Rating”. Si tratta di un modello che riunisce quattro indici: opportunità di crescita in azienda per le donne; equità remunerativa e processi gestionali HR; policy per la gestione della gender diversity; policy per la tutela della maternità. Per accedere alla certificazione, l’azienda deve superare il test in ciascuno di questi settori.
Il processo di certificazione si divide in quattro fasi: pre-audit, audit, certificazione e comunicazione. La prima è una sorta di ricognizione per capire se ci sono le premesse per accedere alla certificazione, quali sono i punti di forza dell’azienda e dove invece c’è margine per il miglioramento. Se le basi ci sono, si procede con la fase di audit vero e proprio, che l’azienda sostiene con un ente terzo, Ria Grant Thornton. Quest’ultimo, che è partner del Winning Women Institute, verifica i kpi (key performance indicator) previsti dal Dynamic Model Gender Rating. Successivamente, se l’azienda risulta idonea, il Winning Women Institute rilascia la “Gender Equality Certification”.
«Investire in pari opportunità – spiega il presidente e co-founder del WWI, Enrico Gambardella – non è solo giusto, è un’esigenza. In Inghilterra da aprile 2018 le aziende devono produrre evidenze sul gap salariale e sulla gender equality. Anche in Islanda è stata approvata una legge che rende la certificazione delle pari opportunità obbligatoria. Se pensiamo, poi, che in paesi come gli Stati Uniti l’85% di tutti i consumi è deciso dalle donne (e altrettanto si può dire per moltissimi altri paesi), la nostra certificazione più che “amica delle donne” è amica dei consumatori e delle aziende che sono lungimiranti sulla capacità di fare business».
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