Per Confcommercio rischiano di chiudere i battenti 270.000 imprese italiane a causa dell’emergenza Covid-19
Le imprese a rischio nel settore del commercio e nel turismo sono il 10% del totale.
Una cifra traducibile nella potenziale chiusura di 270.000 imprese e nella perdita di 420.000 posti di lavoro a causa dell’emergenza coronavirus, secondo le analisi dell’Ufficio Studi Confcommercio, se la situazione non dovesse migliorare e tornare a regime normale entro ottobre.
Confcommercio stima un crollo dei consumi da parte delle famiglie di 84 milioni di euro, che provocherà, a cascata, dei problemi di bilancio per la maggior parte delle imprese di commercio e turismo.
«Per questo bisognerà preoccuparsi per chi resisterà, – ha spiegato Enrico Postacchini, membro di Giunta di Confcommercio, in audizione alla Commissione Industria del Senato – parliamo di 2,7 milioni di imprese alimentari e dei servizi, di cui stimiamo il 10% di mortalità, 420 mila persone che non avranno più lavoro. Numeri inesorabili e purtroppo non ci sono strumenti immediati per mantenere in piedi le attività».
La confederazione chiede al Governo interventi immediati per tamponare le perdite subite, perché gli operatori fino ad oggi hanno ricevuto solo l’indennità di 600 euro.
«Siamo destinati a vivere il 2020 con uno scenario da Ferragosto con l’aggravante che non ci saranno turisti. Non ci sarà nessuna corsa agli acquisti – ha proseguito Postacchini – né a mangiare fuori. Se la sfida è ripensare il modello distributivo del nostro Paese ci dobbiamo dare un lungo periodo di respiro e lavorare insieme ma non è mettendo ora paletti a chi deve riaprire che possiamo adattare un nuovo modello».
In questo contesto di crisi economica rischiano di sparire dal mercato soprattutto ambulanti, per lo più di beni non alimentari, negozi di abbigliamento e calzature, bar, ristoranti, attività di intrattenimento, legate alla cura della persona, e alberghi.
Su 2,7 milioni di imprese del commercio al dettaglio non alimentare, dell’ingrosso e dei servizi quasi il 10% potrebbe chiudere definitivamente. Con i tassi più elevati di perdite tra le professioni, con 49.000 attività in meno, e nella ristorazione, con 45.000 imprese in meno.
Tra le aziende, più colpite le micro imprese, con 1 addetto e senza dipendenti, per le quali sarebbe letale soltanto la riduzione del 10% dei ricavi.
Le stime relative al settore turistico prevedono un crollo fino al 50% delle presenze e crolli strutturali nel comparto dei beni durevoli, chiusi fino ad ora e pronti a ripartire in forze lavoro ridotte.
L’ipotesi, per quanto riguarda le infrastrutture, è quella di recuperare i volumi del 2019 non prima del 2024-2025.
«Rischiamo di essere isolati rispetto al resto d’Europa se per la stagione estiva la normativa non fosse comune a tutti in tema di riempimento di aerei, treni e navi. Noi abbiamo mitigato un calo strutturale e progressivo dei consumi dal 2008 a oggi grazie a straordinari flussi turistici».
Per Postacchini è necessario che la cassa in deroga venga prorogata «ancorché purtroppo non pagata, perché a fine giugno pensare a scadenze fiscali previste a marzo nel primo decreto e a una serie di incombenze è improponibile, le attività lavoreranno a basso regime».
Cosa serve per ripartire secondo il presidente di Confcommercio, Carlo Sangalli? Più risorse a fondo perduto, più contributi per il turismo, la ristorazione e i negozi che riaprono. Prolungare i tempi per pagare le scadenze fiscali, e più liquidità. «La crisi è di proporzioni mai viste, – ha affermato – occorre un’azione più forte e strategica per un vero rilancio del Paese».