Reale e virtuale non sono più separati nettamente nell’era iperstorica: è Onlife, il mondo in cui non ha più senso chiedersi se si è online o no
Sempre connessi e ormai dipendenti dalle tecnologie dell’informazione, anche se spesso non ce ne rendiamo conto.
Il mondo reale e quello virtuale sono sempre più intrecciati per miliardi di persone, che quotidianamente comunicano, lavorano, studiano, si informano, fanno affari, compiono pagamenti e svolgono tantissime altre attività attraverso lo schermo di uno smartphone, un tablet o un pc. A volte con più strumenti in contemporanea.
Chi ha analizzato gli effetti sulla società avvenuti con il boom di internet, dei social network e delle tecnologie per la comunicazione, sostiene che ormai non viviamo più in epoca storica, bensì “iperstorica”. E che non ha più senso chiedersi se si è online oppure no, perché – a meno di scelte radicali – viviamo tutti Onlife.
ll termine Onlife è stato coniato una decina di anni fa dal professor Luciano Floridi, per rappresentare l’esperienza che l’uomo vive nelle società iperstoriche dove “non distingue più tra online o offline”.
Nato a Roma, 58 anni, Floridi è professore di Filosofia ed etica dell’informazione all’Università di Oxford e ha collaborato con la Commissione Europea, l’Unesco e il governo del Regno Unito.
La parola Onlife riassume la fusione del digitale nell’analogico causato dalle tecnologie ICT: secondo gli studiosi, questo processo separa il periodo storico da quello iperstorico.
“Siamo probabilmente l’ultima generazione a sperimentare una chiara differenza tra offline e online”, ha evidenziato Floridi, “le dicotomie scontate come quelle fra reale e digitale o umano e macchina non sono più sostenibili in maniera nitida”.
La parola è stata ufficialmente adottata da un progetto della Commissione Europea intitolato “Onlife Initiative: concept reengineering for rethinking societal concerns in the digital transition”.
Condotto dal professor Floridi tra il 2011 e il 2013, ha coinvolto un gruppo di 15 studiosi di antropologia, scienze cognitive, informatica, ingegneria, giurisprudenza, neuroscienze, filosofia, scienze politiche, psicologia e sociologia.
I risultati del progetto sono stati pubblicati nel documento “The Onlife Manifesto, Being Human in a Hyperconnected Era” come tentativo di reinterpretare gli esseri umani “come organismi informativi che vivono e interagiscono con altri agenti informativi nell’infosfera”.
Infosfera è un altro neologismo coniato da Floridi e rappresenta il luogo dove passiamo la maggior parte del tempo attraverso smartphone, tablet e la connessione a internet.
Secondo Floridi non ha più alcun senso chiedere a una persona se è online oppure no, con tutti gli strumenti tecnologici per la comunicazione di cui disponiamo abitualmente a casa, in ufficio e nella nostra automobile, e la frequenza con cui li consultiamo e utilizziamo.
La vera domanda è piuttosto se questa nuova realtà sia equa e offra le stesse possibilità a tutti. Qui entra in gioco il digital divide, che determina chi è in grado di vivere Onlife e chi non può, perché non ha le possibilità di collegarsi alla rete.
Lo stesso ragionamento vale tra luoghi diversi, perché ad esempio chi vive in una smart city sarà avvantaggiato rispetto a chi vive in zone di campagna. Ma anche tra tipologia di servizi: accedendo a piattaforme online, livelli di istruzione e possibilità di lavoro grazie al digitale avrà sempre un vantaggio competitivo rispetto a chi non può fare tutte queste cose a causa dei limiti tecnologici.
Per Floridi l’essere umano è passato dalla registrazione e comunicazione alla processazione delle informazioni, compiendo un salto evolutivo.
“La connessione tra benessere e tecnologie ICT è diventata una dipendenza: oggi le società avanzate vivono e prosperano solo grazie alle strutture informazionali che le sostengono”, ha dichiarato l’accademico italiano, “È per questo che possono essere soggette a cyberattacchi. Ecco che allora dobbiamo parlare di una storia ancora più storica della storia stessa: siamo passati dalla storia all’iperstoria”.
Transizione digitale e nuove tecnologie per la comunicazione hanno cambiato anche il mondo del lavoro. E il periodo di pandemia ha accelerato alcuni fenomeni già in atto negli uffici e nelle sedi aziendali.
Come ha segnalato lo stesso Floridi in un’intervista, oggi “non si può più proporre lo stesso piatto, ma in salsa digitale”.
“L’analogico non si presta a essere pedissequamente trasposto in digitale, anche perché in tal modo non si beneficia di tutte le potenzialità delle tecnologie a disposizione”, ha osservato Floridi.
“Per esempio, non ci verrebbe mai in mente di partecipare a una riunione in ufficio con un registratore, perché gli interlocutori si sentirebbero condizionati. Partecipando online, invece, ci capita spesso di registrare i contenuti delle riunioni e dobbiamo inoltre rispettare codici di comportamento diversi affinché tutto funzioni al meglio. Oggi ci muoviamo in questo spazio di incontro tra realtà fisica e opportunità della rete, come agenti che vivono in una dimensione onlife”.
Quanto allo smart workingÈ una nuova modalità di svolgimento dell’attività lavorativa, introdotta dalla l. 81/2017 e caratterizzata dall’assenza di precisi vincoli di orario e di luogo di lavoro per il dipendente. More, in questa nuova realtà iperconnessa andrebbe rivista la concezione tradizionale che tutti debbano essere sincronizzati con un orario di lavoro fisso.
“La necessità di operare con il digitale potrebbe rafforzare notevolmente i modelli organizzativi di alcune aziende e, mi auguro, anche della Pa”, ha sottolineato Floridi, “Il lavoratore, anche solo mantenendo lo stesso livello di produttività, ha più tempo per la vita personale e percepisce un maggiore benessere complessivo”.
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