Il 15 giugno del 2022 migliaia di pubblici esercizi e supermercati rifiutarono i buoni pasto dei lavoratori, chiedendo al Governo commissioni meno pesanti
Tra i principali fringe benefit, i buoni pasto sono un’importante agevolazione per il dipendente. Molti esercizi commerciali potrebbero tuttavia smettere di accettarli, come avvenuto mercoledì 15 giugno del 2022, giorno in cui ci fu uno sciopero nazionale a cui aderirono le principali associazioni di categoria del commercio e della distribuzione.
Organizzato da Ancd Conad, ANCC Coop, Federdistribuzione, FIEPeT-Confesercenti, Fida e Fipe-Confcommercio lo sciopero dei buoni pasto arrivò dopo mesi e settimane roventi, raccogliendo una notevole adesione da parte degli esercenti italiani, con punte del 60-70% in alcune province. Il 15 giugno del 2022 bar, ristoranti, alimentari, supermercati e ipermercati aderenti a questo ampio fronte di associazioni rifiutarono di accettarli.
«Un’azione drastica resasi necessaria per chiedere con urgenza al Governo una riforma radicale del sistema dei buoni pasto, con l’obiettivo di salvaguardare un servizio importante per milioni di lavoratori e renderlo economicamente sostenibile», sottolinearono le sigle promotrici della giornata di protesta.
D’altra parte, se si calcola che per ogni buono da 10 euro l’esercente ne incassa circa 8 – queste le stime fornite dai promotori – si capisce come la situazione sia potenzialmente esplosiva.
A spiegare nei dettagli quanto pesino sulle aziende le commissioni su questo importante bene accessorio per i lavoratori è il presidente di Federdistribuzione, che rappresenta le imprese della distribuzione moderna operanti in Italia nel settore alimentare e non alimentare.
“In Italia abbiamo commissioni non eque, le più alte d’Europa. Parliamo del 20% del valore nominale di ogni buono», affermò Alberto Frausin, «È un meccanismo influenzato enormemente dagli sconti ottenuti dalla Consip nelle gare indette con la logica del massimo ribasso.
Peccato che i risparmi che la centrale di acquisto pubblica riesce a ottenere nell’assegnazione dei lotti di buoni pasto siano sostanzialmente annullati dal credito d’imposta, che le società emettitrici ottengono a fronte della differenza Iva tra le aliquote applicate in vendita e in riscossione. A pagare il conto sono le nostre aziende”.
“Vogliamo che i buoni pasto, un servizio prezioso per milioni di lavoratori e famiglie, continuino a essere utilizzati anche in futuro, ma ciò sarà possibile solo sulla base di condizioni economiche ragionevoli e di una riforma radicale dell’attuale sistema, che riversa commissioni insostenibili sulle imprese e ne mette a rischio l’equilibrio economico”, rivendicava Frausin.
Ad aggiungere prospettiva sulla questione fu Fipe-Confcommercio, tra le associazioni leader nel settore dei pubblici esercizi, che rappresenta più di 300 mila aziende iscritte, 1 milione di addetti, per un valore aggiunto di oltre 40 miliardi di euro.
“Vogliamo sensibilizzare i consumatori sulle gravissime difficoltà che le nostre imprese vivono quotidianamente a causa delle elevate commissioni che dobbiamo pagare sui buoni pasto. In questo modo vogliamo salvaguardare la funzione del buono pasto: se si va avanti così sempre meno aziende saranno disposte ad accettarli e rischia di diventare inutilizzabile”, rimarcò Aldo Mario Cursano, vicepresidente di Fipe-Confcommercio.
Che in una nota ufficiale lanciò un monito: “È solo l’inizio di una serie di iniziative che porteranno a non poter spendere più i buoni pasto, se non ci sarà una radicale inversione di tendenza già a partire dalla prossima gara Consip del valore di 1,2 miliardi di euro”.
La gara Consip del 2023 ha effettivamente portato delle novità agli esercenti che accettano buoni pasto, in particolar modo per chi è convenzionato con la Pubblica Amministrazione.
Grazie all’ultimo accordo “Buoni pasto ed. 10” gli esercenti convenzionati con la Pubblica Amministrazione potranno pagare commissioni ridotte fino al 5% del valore del buono pasto e potranno avere maggiore frequenza dei rimborsi.
Inoltre negli ultimi tempi altri operatori sono entrati sul mercato, offrendo commissioni più basse per battere la concorrenza.
Se le ragioni dello sciopero erano comprensibili e la risposta fu notevole in termini di adesioni e visibilità, dall’altra parte della barricata arrivò addirittura l’invito al boicottaggio delle attività commerciali.
Assoutenti, Adoc, Adiconsum e Federconsumatori furono molto critiche nei confronti dell’iniziativa, pur riconoscendone le ragioni. Le associazioni di difesa dei consumatori proposero un contro-sciopero, invitando a boicottare per tutto il 15 giugno del 2022 bar, negozi, ristoranti e supermercati, anche anticipando o posticipando di un giorno la spesa.
«Ancora una volta i consumatori italiani vengono usati come ostaggi dalle organizzazioni della Gdo e dei ristoratori per rivendicazioni che, seppur giuste nella sostanza, finiscono per danneggiare solo e unicamente i cittadini», accusarono in una nota congiunta le quattro sigle.
Per le quali è stato ritenuto fondamentale avanzare dei distinguo, per non passare da fiancheggiatori dello status quo. “Se la protesta contro le condizioni svantaggiose dei buoni pasto è corretta nelle sue motivazioni”, sottolinearono Assoutenti, Adoc, Adiconsum e Federconsumatori, “il soggetto contro cui viene attuato lo sciopero, ossia i consumatori, è del tutto errato, perché saranno solo gli utenti a pagare il prezzo di tale iniziativa.
Non si capisce perché le organizzazioni della Gdo e degli esercenti non abbiano pensato a proteste contro Consip e Mef, unici responsabili delle condizioni imposte sui ticket per la spesa”.
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