Costruire le fondamenta del lavoro di domani con la conoscenza e le competenze

(foto Shutterstock)

Competenze tecniche e tecnologiche, flessibilità, competenze relazionali e spirito di collaborazione, sono fondamentali per sostenere i nuovi mestieri

I fattori principali del lavoro che cambia

Quali sono gli elementi per costruire le basi del lavoro? E quali competenze e abilità sono richieste per il lavoro, di oggi e di domani?
Secondo gli studi più recenti, un insieme di conoscenze e di competenze, leadership e capacità relazionali, essenziali per accompagnare con motivazione e responsabilità, i nuovi modelli organizzativi del lavoro che cambia.

Se la pandemia ha costretto tutti a prendere maggiore consapevolezza del ruolo del lavoro da remoto nella definizione delle nuove strategie organizzative del lavoro che cambia, è anche vero che, al di là del lavoro da remoto, senza il giusto equilibrio tra competenze tecniche e tecnologiche, flessibilità, competenze relazionali e spirito di collaborazione, non è possibile iniziare a fare i conti con il consolidamento di quelle nuove modalità di lavoro per le quali autonomia individuale e collaborazione in team di progetto, giocheranno un ruolo fondamentale. 

L’autonomia come fattore di sviluppo per i nuovi mestieri

L’autonomia va intesa – anche nel rapporto di lavoro subordinato – come coscienza del proprio ruolo, consapevolezza del proprio bagaglio di conoscenze e delle competenze specialistiche che si costruiscono nel tempo dai banchi di scuola fino alle università. Sono questi gli elementi fondamentali di sostegno non solo della flessibilità organizzativa che caratterizza il modello ibrido del lavoro – parte in presenza e parte in remoto – reso più pressante dalla digitalizzazione dei processi, ma anche i fattori di sviluppo dei nuovi mestieri e dei nuovi lavori. Soprattutto con riguardo alla sempre più ampia richiesta di quelle figure specialistiche – ed altamente flessibili – necessarie ad accompagnare l’innovazione tecnologica e, in modo più specifico, il Green New Deal : ingegneri, sviluppatori, disegnatori industriali, tecnici idraulici e agronomi, tecnici della sicurezza del lavoro e dell’ambiente, solo per citarne alcuni. In possesso di un insieme di conoscenze tecnico-scientifiche sempre più specifiche a seconda dell’ambito di riferimento. 

Le competenze specialistiche non bastano

Accanto alle competenze specialistiche stanno però diventando sempre più importanti anche altri elementi di accrescimento del valore degli individui all’interno delle organizzazioni. Prendendo ad esempio l’ultima analisi diffusa in primavera da Great Place to Work, si può vedere quali sono i fattori che stanno diventando i più importanti in chiave di interpretazione e valutazione dei nuovi trends. L’indagine mette in evidenza infatti come un ambiente di lavoro eccellente sia caratterizzato da tre relazioni fondamentali:

  • una relazione di fiducia reciproca con il management aziendale; 
  • il rapporto di orgoglio per il proprio lavoro e per l’organizzazione di cui si fa parte; 
  • la qualità dei rapporti con i colleghi.

In questa prospettiva, se la leva motivazionale che influisce nella costruzione dei nuovi modelli organizzativi è data da elementi quali, fiducia, senso di appartenenza, responsabilità (e, non ultima, qualità dei rapporti) – non a caso anche alcuni degli elementi che stanno alla base del vero smart working  – la valorizzazione delle competenze (unitamente alla valorizzazione del potenziale relazionale, umano e di soft skills che ciascuno porta con sé all’interno di ogni organizzazione), l’investimento nella formazione delle persone durante tutto l’arco della vita, la comprensione del ruolo svolto dal pensiero creativo nei processi di innovazione, sono tutti presupposti fondamentali del sistema di regole che governerà il lavoro del futuro.  

Il ruolo della formazione continua

Competenze specialistiche e relazionali che non possono andare disgiunte ma che si alimentano appunto solo con la formazione continua. Perché è divenuto essenziale prendere coscienza dell’importanza che ha oggi quella che abbiamo iniziato a definire come la «sfida delle competenze». Ossia la sfida di riportare gli adulti a studiare e l’obiettivo di allenare le persone all’interno delle imprese ad acquisire nuove competenze ed a mantenere nel tempo, quelle acquisite. 

Sfida che, governata in parte dalla digitalizzazione e dalla tecnologia – elementi portanti della quarta rivoluzione industriale – impone a tutti i livelli (dalla scuola, all’università, all’impresa) la necessità di un profondo rinnovamento del sistema di formazione sia di base (Education) sia durante tutto l’arco della vita – lavorativa e non lavorativa – (Lifelong learning). Obiettivo quest’ultimo di primaria rilevanza che, in ambito lavorativo coinvolge l’aggiornamento professionale (in termini di reskilling e upskilling) e, al di fuori dall’ambito lavorativo, la cultura generale. Ed è proprio la «sfida delle competenze» che può favorire la transizione tra vecchio e nuovo, nonché quel fondamentale processo di osmosi tra vecchie e nuove generazioni che guida verso quei nuovi mestieri che le trasformazioni nell’organizzazione del lavoro, l’innovazione tecnologica e le sfide della sostenibilità richiedono già oggi. 

Il ruolo dell’alta formazione

In questo scenario un ruolo primario è assegnato all’alta formazione universitaria, la quale costituisce presupposto indispensabile e base di partenza per la crescita individuale, per l’inclusione sociale e, quindi, non solo per l’accesso al lavoro ma anche per il mantenimento nel tempo dell’occupazione in un mondo in continua trasformazione. L’Italia da questo punto di vista risulta essere al penultimo posto in Europa per numero di laureati sui cittadini tra i 25 e i 34 anni (il 29% contro il 40% della UE e il 44% dei paesi OCSE). Eppure, oltre ad essere il paese in Europa che vanta la presenza di due delle più antiche università (quella di Bologna e quella di Padova) è anche il paese che può contare su una vasta distribuzione territoriale degli atenei. Il che è fattore di grande rilevanza perché ha la potenzialità di alimentare la vita economica e sociale delle città e dei territori dove sono presenti gli istituti di istruzione superiore, accompagnando così crescita, innovazione e creatività. Come ci viene insegnato dalle Junior Enterprises, società di consulenza sorte tra studenti universitari già operative in alcune delle più importanti università – come Cà Foscari a Venezia – che si stanno già diffondendo in molte altre città universitarie.  

 

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