Il Co.co.pro (contratto a progetto) è uno dei contratti di collaborazione più famosi in tema di flessibilità del lavoro
Negli ultimi anni, il co.co.pro (contratto di collaborazione a progetto) è stato uno dei simboli del lavoro precario. Introdotto durante il secondo Governo Berlusconi, era stato pensato per regolare meglio le collaborazioni continuative.
L’obiettivo era offrire un’opportunità a chi voleva affacciarsi al mondo del lavoro, spesso giovani alle prime esperienze o aspiranti partite IVA, permettendo di mettere in pratica le proprie competenze senza dover entrare in un rapporto di lavoro subordinato tradizionale.
Tuttavia, molte aziende hanno iniziato a utilizzare questo contratto per mascherare veri e propri rapporti di lavoro subordinato, sfruttando le minori tutele previste per i collaboratori. Questo ha portato a una diffusione impropria del contratto a progetto, penalizzando chi lo sottoscriveva.
In un contesto ancora poco digitalizzato, dove mancava una sensibilità verso modalità di lavoro più flessibili, i tribunali italiani sono stati rapidamente sommersi da cause promosse dai collaboratori. Questi chiedevano che venisse riconosciuta la reale natura subordinata del loro rapporto di lavoro.
A vent’anni dalla loro introduzione, cosa ne è stato dei contratti a progetto? Nel 2025, è ancora possibile essere assunti con questa tipologia contrattuale? Per rispondere a queste domande, vediamo insieme come funzionava questo contratto e se esiste ancora oggi.
Co.co.pro è l’acronimo di contratto di collaborazione a progetto. La Legge Biagi, con l’articolo 61, definiva questa tipologia contrattuale come una collaborazione coordinata e continuativa, principalmente personale e senza vincolo di subordinazione, collegata a uno o più progetti specifici stabiliti dal committente. In quanto collaboratore, in questo modello, avresti dovuto gestire il progetto in autonomia, con l’obiettivo di raggiungere un risultato concreto.
Il progetto non poteva riguardare semplicemente l’oggetto sociale del committente né prevedere attività puramente esecutive o ripetitive. Inoltre, il contratto doveva essere strettamente connesso al raggiungimento di un determinato risultato, evitando sovrapposizioni con i compiti dei lavoratori subordinati.
Secondo il legislatore del 2003, il co.co.pro. era pensato per permettere alle aziende di gestire in modo flessibile determinati progetti o processi produttivi, avvalendosi di collaboratori contrattualizzati per quel fine specifico.
La Legge Biagi definiva in modo chiaro i requisiti che un contratto a progetto doveva rispettare per essere considerato genuino. Comprendere questi requisiti aiuta a capire come funzionava il contratto a progetto.
Un contratto co.co.pro. doveva essere sempre stipulato in forma scritta e includere:
I pro e i contro di un contratto co.co.pro. non sono semplici da individuare, soprattutto considerando gli abusi frequenti da parte delle aziende committenti, che spesso lo utilizzavano per mascherare rapporti di lavoro subordinato.
In teoria, i vantaggi del contratto a progetto includevano:
In pratica, però, la situazione era spesso diversa. Molte volte il progetto non veniva indicato chiaramente nel contratto oppure riportava mansioni talmente generiche che il rapporto di lavoro si trasformava di fatto in un contratto subordinato, ma senza le tutele garantite a un lavoratore dipendente. Questo creava condizioni di incertezza e vulnerabilità per il collaboratore.
Sia il co.co.co.I collaboratori coordinati e continuativi lavorano con un contratto parasubordinato, cioè non sono dipendenti ma neanche lavoratori autonomi puri, e hanno specifiche tutele. More sia il co.co.pro. sono (o meglio, erano) forme di lavoro parasubordinato, una via di mezzo tra lavoro subordinato e lavoro autonomo. Le differenze principali tra queste due tipologie contrattuali erano:
Uno degli aspetti particolari del contratto a progetto riguardava la gestione dei contributi previdenziali. Chi era responsabile del pagamento dei contributi all’INPS? Tu in quanto collaboratore o l’azienda che beneficiava delle prestazioni?
Il legislatore aveva stabilito un sistema misto:
Tuttavia, era sempre l’azienda a effettuare il versamento diretto dei contributi alla Gestione Separata dell’INPS, includendo entrambe le quote.
Come accennato, il contratto a progetto è stato spesso usato in modo improprio dalle aziende per ottenere maggiore flessibilità nella cessazione del rapporto di lavoro, violando però la normativa originaria.
Le sanzioni previste in questi casi erano particolarmente severe e portavano al riconoscimento di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato alle dipendenze del committente.
In particolare:
Nel 2024 e nel 2025, il contratto a progetto non esiste più. La sua scomparsa risale ormai a 10 anni fa, esattamente al 25 giugno 2015, per effetto del Jobs ActIndica il pacchetto di provvedimenti legislativi con cui si è attuata la riforma del diritto del lavoro in Italia tra il 2014 e il 2015. More. Questo tipo di contratto è stato abrogato dall’articolo 52 del decreto legislativo 81/2015, chiamato proprio “Superamento del contratto a progetto”.
La norma stabiliva che:
Per facilitare la transizione, il legislatore ha anche previsto l’eliminazione delle sanzioni per le aziende che avessero deciso di trasformare i contratti a progetto in rapporti di lavoro subordinato ordinari.
Leggi anche:
Cos’è la Gestione Separata Inps
Regime forfettario: fare la dichiarazione dei redditi in autonomia