Il periodo di comporto è il lasso di tempo durante il quale il lavoratore ha diritto a conservare il posto di lavoro: come funziona e quanto dura
Il lavoratore ha diritto, in caso di malattia o infortunio, alla conservazione del posto di lavoro per un periodo di tempo detto “di comporto”. Scaduto questo intervallo temporale, il dipendente o il datore possono recedere liberamente dal contratto. Nel caso in cui il lavoratore dovesse assentarsi oltre questo periodo di tutela, l’impresa non è più tenuta a giustificare l’eventuale licenziamento.
Il periodo di comporto riconosce al dipendente il diritto alla conservazione del posto di lavoro e a un’indennità di malattia erogata dall’INPS e integrata dal datore, in base alle disposizioni dei contratti collettivi applicati.
La durata del periodo di comporto varia a seconda dei casi. Non esiste una singola regola per determinare l’arco temporale di riferimento e la normativa rimanda ai contratti collettivi del lavoro. La legge ha delineato dei limiti soltanto per il settore impiegatizio, differenziandoli in relazione all’anzianità di servizio del lavoratore (ovvero da quanto tempo si è dipendenti dell’azienda):
Anche se si tratta di un periodo tutelato, ci sono delle situazioni in cui il datore di lavoro può licenziare il dipendente.
Se la malattia fosse dovuta a comportamenti tenuti dal datore di lavoro, come per esempio mobbing, i periodi di assenza sono da considerarsi esclusi dal calcolo del comporto.
Nel computo dei giorni di malattie non rientrano le giornate di ricovero per interventi chirurgici tumorali e quelle relative ai cicli per lo svolgimento delle terapie oncologiche (ad esempio chemioterapia e radioterapia), anche in mancanza di espressa previsione del contratto collettivo di riferimento.
Per calcolare il proprio periodo di comporto, è necessario capire qual è la tipologia di riferimento, in base a quanto definito dai contratti collettivi.
Facciamo un esempio con un comporto per un dipendente che abbia diritto a una tutela di 180 giorni, di tipo “secco”, ovvero per un’unica malattia di lunga durata.
Se sei un dipendente hai diritto alla retribuzione nei giorni di assenza dal lavoro per malattia. I primi tre giorni non sono coperti da indennità INPS, salvo il caso in cui il contratto collettivo di riferimento non preveda che sia il datore di lavoro a farsi carico della retribuzione.
Per i giorni successivi, la situazione cambia a seconda del CCNL di riferimento. Ad esempio, per il contratto del Commercio dal quarto al ventesimo giorno di assenza è l’INPS a farsi carico della cosiddetta indennità di malattia e l’importo è pari al 50% della retribuzione media globale giornaliera che hai percepito nel mese precedente all’inizio della malattia. Dal ventunesimo al 180mo giorno di assenza è sempre l’INPS a farsi carico dell’indennità, per un importo pari ai due terzi (il 66,66%) della retribuzione.
I singoli contratti collettivi del lavoro stabiliscono se il datore di lavoro debba integrare l’indennità di malattia erogata dall’INPS, in modo da renderne l’importo più vicino a quello dello stipendio tradizionale. Il periodo di comporto non coincide con i sei mesi indennizzati dall’INPS ed è il CCNL di riferimento a stabilire quanti giorni di assenza può fare un dipendente per non rischiare il licenziamento.
I periodi di comporto possono essere interrotti dalla richiesta del lavoratore di godere delle ferie, a patto che siano già state maturate e quindi a disposizione del dipendente. Se ti interessa azzerare il periodo di comporto dovrai presentare una richiesta preferibilmente scritta, prima della scadenza del periodo di comporto, indicando di voler utilizzare le proprie ferie.
Il datore di lavoro che riceve questo tipo di richiesta dovrà tenere in considerazione la volontà del lavoratore di mantenere il proprio posto di lavoro, ma non è tenuto ad accettare le ferie, poiché per principio queste sono collegate anche alle esigenze dell’impresa.
Un’altra richiesta che può fare il lavoratore è quella di prendere un periodo di aspettativa non retribuita, in base alle previsioni del CCNL applicato in azienda. In questo modo, si interrompe il periodo di comporto, rinunciando però alla propria retribuzione mensile.
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