Durante l’emergenza Covid-19 una sentenza del Tribunale di Venezia ha chiarito: i buoni pasto sono incompatibili con lo smart working
I buoni pasto, noti anche come l’omonimo marchio “ticket restaurant”, sono dei valori, cartacei o elettronici, spendibili presso strutture convenzionate quali ristoranti, bar, supermercati e simili.
Rappresentano dei benefit, quindi una forma di welfare aziendaleÈ l’insieme di benefit e prestazioni che un datore di lavoro riconosce ai suoi dipendenti, in aggiunta alla normale retribuzione, con lo scopo di migliorarne la qualità della vita privata e professionale. More, che alcune aziende mettono a disposizione dei propri dipendenti quando non hanno una mensa o non tutti i lavoratori possono appoggiarsi ad essa.
Le aziende acquistano i buoni pasto da società terze per poi fornirli ai lavoratori perché possano provvedere al pagamento del loro pranzo.
Il buono pasto è economicamente vantaggioso sia per l’azienda sia per il lavoratore. Per l’azienda in quanto (anche per effetto delle modifiche intervenute con la legge di bilancio 2020) è esente da contributi e tasse fino ai 4 euro nella versione cartacea, e fino a 8 euro nella versione elettronica.
Per il dipendente invece vi è un certo vantaggio perché i ticket gli consentono di non avere spese per i pasti e sono esenti da contribuzione e tassazione. Inoltre, grazie a un decreto del 2017, è possibile usare fino a 8 buoni al giorno, consentendo ai lavoratori di poter fare la spesa al supermercato anziché andare al bar sotto l’ufficio.
Nel corso della pandemia ci si è chiesti se i buoni pasto dovessero spettare ai lavoratori in smart workingÈ una nuova modalità di svolgimento dell’attività lavorativa, introdotta dalla l. 81/2017 e caratterizzata dall’assenza di precisi vincoli di orario e di luogo di lavoro per il dipendente. More. Inizialmente si pensò che, poiché lo smart worker deve essere trattato per legge al pari del lavoratore ordinario, economicamente e normativamente, il buono pasto doveva continuare ad essere erogato.
Il dubbio non si poneva invece per i datori che avevano già specificato nel regolamento che i buoni non spettavano per i giorni di lavoro in modalità agile.
La questione però si è fatta più insidiosa laddove, invece, i regolamenti aziendali o i contratti facevano riferimento al diritto al buono pasto in concomitanza dei giorni di effettivo lavoro o alla durata della prestazione lavorativa. Tali elementi infatti si ravvisano anche nello smart working, durante il quale spetterebbero quindi i buoni pasto.
In seguito a una recente controversia che ha coinvolto il Comune di Venezia e i suoi collaboratori in smart working – ai quali non sono stati più erogati i buoni pasto nel corso di tale modalità lavorativa – il Tribunale di Venezia ha deciso se i ticket dovessero effettivamente spettare oppure no ai lavoratori.
Secondo il tribunale la fruizione del buono pasto è incompatibile con lo smart working, perché si tratta solo di un beneficio collegato all’organizzazione aziendale che va a ristorare (volontariamente e non per un obbligo di legge) il disagio del lavoratore che consuma il proprio pasto al di fuori del proprio domicilio.
Sulla base di tale orientamento il valore del buono pasto non rientra nella definizione di normale retribuzione, pertanto, un datore potrebbe smettere di corrispondere agli smart worker tali valori senza ledere il loro trattamento.
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