Le lavoratrici a termine a cui non viene rinnovato il contratto perché incinte potrebbero essere tutelate per discriminazione diretta
Il Testo unico sulla maternità e paternità assicura diverse tutele alle lavoratrici madri dall’inizio della gravidanza, per tutta la durata della maternità obbligatoria e, a precise condizioni, anche dopo il parto.
Alcune di queste devono essere necessariamente adattate al tipo di contratto di lavoro con cui sei stata assunta. Pensiamo, ad esempio, ai permessi per allattamento: vengono assicurate due ore al giorno se l’orario di lavoro è di almeno 6 ore giornaliere, mentre se è inferiore, può essere richiesta solo un’ora di permesso.
Molte altre condizioni, però, sono uguali per tutte le lavoratrici dipendenti che diventano o stanno per diventare mamme: sempre il Testo UnicoL’insieme delle norme che disciplinano una specifica materia. Oltre al TU per la maternità, in tema di materie giuslavoristiche, sono di primaria importanza i testi unici sulla sicurezza sul lavoro e sull’assicurazione degli infortuni infortuni sul lavoro. More, infatti, parla genericamente di “donne”, senza dare specificare la situazione lavorativa.
A questo punto ci chiediamo: le lavoratrici che si scoprono incinte e sono state assunte con un contratto a tempo determinato possono godere degli stessi diritti delle lavoratrici a tempo indeterminato? Ci sono delle differenze? Scopriamolo insieme in questo articolo!
Prima del parto la lavoratrice non può più svolgere lavori pesanti e gravosi e, per questo, deve essere eventualmente spostata a una mansione diversa, anche inferiore, per la tutela della sua salute e di quella del bambino.
Il datore di lavoro, inoltre, deve pagarle dei permessi ulteriori per le visite prenatali che deve fare durante l’orario di lavoro.
In genere, poi, dai due mesi prima della data presunta del parto e fino ai tre mesi successivi, per una durata totale di cinque mesi, la lavoratrice deve obbligatoriamente assentarsi dal lavoro e percepire l’indennità Inps per la maternità obbligatoria.
Terminato il congedo di maternità obbligatorio, la neo mamma può decidere di richiedere anche il congedo parentaleÈ il diritto, riconosciuto in capo a entrambi i genitori, di astenersi dal lavoro facoltativamente e contemporaneamente entro i primi anni di vita del bambino. More, che è facoltativo e può durare massimo 6 mesi. Anche in questo caso, l’Inps pagherà un’indennità, anche se è più bassa rispetto a quella della maternità obbligatoria.
Non dimentichiamoci, infine, del divieto di licenziamento: il datore di lavoro non può lasciare a casa le proprie collaboratrici dall’inizio della gravidanza e fino a un anno di età del figlio.
Dobbiamo distinguere due situazioni:
Le lavoratrici assunte a termine e quelle assunte a tempo indeterminato hanno gli stessi diritti, quindi entrambe hanno diritto al periodo di astensione obbligatoria e facoltativa oltre a essere pagate dall’Ente con le rispettive indennità;
In genere, il datore anticipa per conto dell’Inps le indennità, ma non è obbligato a rinnovare il contratto di lavoro che scade durante il periodo tutelato di maternità. Potrebbe dunque decidere di non rinnovare il contratto, fermo restando il diritto della lavoratrice a percepire le indennità previdenziali.
Ma è veramente così? Non proprio.
Il Tribunale di Milano, con una sentenza molto rilevante, definisce discriminazione diretta il mancato rinnovo del contratto di una lavoratrice che, il giorno prima, aveva comunicato alla sua azienda di essere incinta.
Su cosa si basa questa decisione? L’articolo 25 del Codice delle pari opportunità dice che
“costituisce discriminazione ogni trattamento o modifica dell’organizzazione delle condizioni e dei tempi di lavoro che, in ragione del sesso, dell’età anagrafica, delle esigenze di cura personale o familiare, dello stato di gravidanza nonché di maternità o paternità […] pone o può porre il lavoratore in almeno una delle seguenti condizioni:
Questo è rafforzato anche dal fatto che la lavoratrice licenziata era l’unica ad aver subito quel trattamento, mentre ad altre sue colleghe il contratto era stato rinnovato senza problemi.
Principalmente due: nel linguaggio tecnico si dice “rimozione degli effetti” e il “ripristino della situazione”.
Cosa vuol dire? Che, con l’aiuto di un professionista, può far valere la sua situazione e ottenere il rinnovo del contratto di lavoro.
Attenzione: perché questo sia possibile, però, è necessario rispettare un preciso termine di decadenza, oltre il quale non è più possibile ottenere questo risultato. Nello specifico, la lavoratrice deve agire entro due anni dalla data di cessazione del rapporto di lavoro.
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