In seguito a un infortunio sul lavoro il lavoratore ha diritto a ricevere una somma che copra tutti i danni che ha sofferto. In prima battuta il risarcimento è erogato direttamente dall’INAIL. Tuttavia, in alcuni casi, l’indennità INAIL non è sufficiente a coprire tutti i pregiudizi subiti dal lavoratore.
In questa ipotesi il dipendente può chiedere all’azienda il risarcimento dei danni non coperti dall’istituto. In questo caso si parla di “danno differenziale” ed è disciplinato dall’art. 10 del Testo Unico sulla Sicurezza sul lavoro.
La Cassazione, con la recente sentenza numero 3694 del 7 febbraio 2023, ha chiarito in che modo devono essere considerate (e detratte) le somme già versate dall’INAIL rispetto alla somma totale richiesta dal lavoratore.
L’infortunio sul lavoro è definito come una patologia provocata da una causa violenta e immediata in occasione del lavoro.
In questi casi il lavoratore ha diritto al risarcimento. Nel nostro ordinamento, c’è un principio fondamentale: il soggetto danneggiato ha diritto all’integrale risarcimento.
Quali danni possono essere risarciti? Si possono distinguere quelli patrimoniali da quelli non patrimoniali.
I patrimoniali sono quelli legati alla perdita delle retribuzioni, alla perdita del lavoro o degli avanzamenti di carriera e a tutte le spese sostenute dal lavoratore per curare la malattia (ad esempio, spese mediche, specialistiche, protesi, ecc.).
I non patrimoniali sono quelli alla salute (il cosiddetto danno biologico), alla vita di relazione; anche il danno morale, ossia la sofferenza causata da un evento traumatico, rientra tra i danni non patrimoniali.
Per capire che cos’è, è necessario prima fare una premessa: in alcuni casi l’INAIL non copre l’intero danno subito dal lavoratore. Il dipendente, se vuole ottenere un ristoro integrale, deve chiedere ulteriori somme al proprio datore di lavoro.
Più nello specifico, l’INAIL riconosce una rendita o un’indennità che risarcisce esclusivamente il danno biologico subito e la perdita patrimoniale, secondo la disciplina speciale.
L’Istituto non riconosce le ulteriori voci, come ad esempio il danno alla vita di relazione (cosiddetto “esistenziale”) e le ulteriori somme calcolate secondo i criteri civilistici.
Il danno differenziale è proprio questo: la differenza tra quanto riconosce l’INAIL e quanto avrebbe diritto il lavoratore calcolando tutte le voci con i principi civilistici ordinari.
La causa decisa dalla Suprema Corte trae origine proprio da questo punto: gli eredi di un dipendente deceduto sul lavoro hanno chiesto all’azienda il risarcimento di tutti i danni subiti dal proprio parente.
Nei gradi precedenti il risarcimento è stato negato perché, secondo il Tribunale e la Corte d’Appello, la rendita INAIL assicurata agli eredi sarebbe stata superiore alle ulteriori voci di danno.
Tuttavia, gli eredi hanno contestato una simile interpretazione, sostenendo che la rendita INAIL va computata esclusivamente su “poste omogenee”, ossia tali somme vanno a detrarre le voci di danno biologico, ma non possono essere estese anche a voci diverse, per le quali non opera la tutela dell’Istituto.
Con la sentenza numero 3694 del 2023, la Suprema Corte ha così chiarito che “la diversità strutturale e funzionale tra l’erogazione INAIL ex art. 13 del D.Lgs. n. 38 del 2000 ed il risarcimento secondo i criteri civilistici non consente di ritenere che le somme versate dall’istituto assicuratore possano considerarsi integralmente satisfattive del pregiudizio subito dal soggetto infortunato”.
Ne consegue che il Tribunale deve quantificare l’intero risarcimento secondo i principi civilistici generali e successivamente compararlo con l’indennizzo previsto dall’INAIL.
Le somme garantite dall’INAIL non vanno scomputate dall’intero risarcimento, ma vanno considerate per “poste omogenee”.
Lo scomputo per poste omogenee significa che, una volta quantificate tutte le voci di danno patrimoniale e non patrimoniale, anche le voci dell’indennizzo INAIL vanno detratte in base alle relative “poste”.
In questo modo, secondo la Cassazione, dall’ammontare complessivo del danno biologico va detratto non già il valore capitale dell’intera rendita costituita dall’INAIL, ma solo il valore capitale della quota di essa destinata a risarcire il danno biologico stesso.
Va invece esclusa la quota di indennizzo rapportata alla retribuzione e alla capacità lavorativa specifica dell’assicurato, volta all’indennizzo del danno patrimoniale.
L’imputazione per “poste omogenee” dell’indennizzo INAIL può garantire al lavoratore il riconoscimento del danno differenziale, poiché – come ricorda la Cassazione – “la liquidazione del danno alla salute conseguente ad infortunio sul lavoro o a malattia professionale va effettuata secondo i criteri civilistici e non sulla base delle tabelle di cui al D.M. n. del 12 luglio 2000, deputate alla liquidazione dell’indennizzo INAIL ex D.Lgs. n. 38 del 2000, art. 13, in ragione della differenza strutturale e funzionale tra tale indennizzo e il risarcimento del danno civilistico”.
In conclusione, per verificare se un soggetto può avere diritto al riconoscimento del danno differenziale, il procedimento preliminare può essere in sintesi:
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