La donna era stata travolta da un carrello elettrico guidato da un collega che non aveva ricevuto la formazione adeguata
Con la sentenza numero 27758 del 22 marzo 2023, la Corte di Cassazione ha confermato la condanna a 4 mesi di reclusione per un datore di lavoro campano e l’obbligo di risarcimento danni a favore di un’operaia vittima di infortunio durante la pausa caffè.
Protagonista della vicenda una donna che, durante il momento di pausa caffè si trovava alla macchinetta ed era stata travolta con il carrello elettrico da un suo collega, rompendosi entrambi i piedi ed essendo costretta ad assentarsi dal lavoro per oltre 8 mesi.
Le indagini sull’incidente hanno evidenziato numerose violazioni alle prescrizioni in merito alla prevenzione degli infortuni sui luoghi di lavoro: l’uomo che guidava il mezzo non era abilitato a quella specifica mansione, all’interno del magazzino non erano state tracciate linee per separare le corsie pedonali da quelle dei carrelli e, infine, la lavoratrice non indossava scarpe antinfortunistiche.
L’infortunio sul lavoro in pausa caffè, ha stabilito la Cassazione, “costituiva proprio la concretizzazione del rischio che dette disposizioni intendevano prevenire”. In altri termini: se le giuste segnaletiche fossero state presenti, se il collega della donna avesse ricevuto una formazione adeguata da carrellista e se la lavoratrice avesse indossato dispositivi di sicurezza sul lavoro appropriati, con tutta probabilità l’incidente non si sarebbe verificato.
Secondo la legge, l’azienda può essere ritenuta responsabile per i danni provocati dal lavoratore nei confronti di terzi o, come in questo caso, nei confronti di altri colleghi.
In casi simili viene spesso menzionato per il datore di lavoro il concetto di responsabilità oggettiva, ossia la responsabilità per un errore anche quando non commesso in prima persona.
In effetti, gli obblighi antinfortunistici esistono specificamente con l’obiettivo di responsabilizzare l’azienda e portarla ad osservare le cautele necessarie per ridurre al minimo il rischio infortuni per i propri lavoratori.
Nel caso in oggetto, ha stabilito la Corte, le violazioni sono state plurime e gravissime. Per questo motivo “il datore di lavoro che non adempie agli obblighi di informazione e formazione gravanti su di lui e sui suoi delegati risponde, a titolo di colpa specifica, dell’infortunio dipeso dalla negligenza del lavoratore che, nell’espletamento delle proprie mansioni, ponga in essere condotte imprudenti, trattandosi di conseguenza diretta e prevedibile dell’inadempienza degli obblighi formativi”.
Nelle cause per violazione delle norme antinfortunistiche, molto spesso gli imputati si difendono sostenendo che la condotta del lavoratore rappresenti un “rischio eccentrico”, ossia un comportamento che non ha alcuna attinenza con le mansioni da eseguire e che non rispetta le regole basilari di prudenza e diligenza.
Quando chiamata a pronunciarsi in merito a simili casi, la legge ha quasi sempre stabilito comunque la responsabilità dell’azienda. Una sentenza di aprile 2023 ha ad esempio argomentato che “perché possa ritenersi che il comportamento negligente, imprudente e imperito del lavoratore” sia da attribuire solo a quest’ultimo, scagionando di fatto l’azienda, è necessario prima di tutto che la società abbia assolto concretamente tutti i propri obblighi in merito alla prevenzione degli infortuni.
Come detto, nel caso esaminato dalla Corte di Cassazione la lavoratrice è stata investita dal collega durante una pausa lavorativa. La cosiddetta “pausa caffè” era già stata oggetto, pochi anni fa, di un’altra sentenza della Cassazione in pausa caffè che aveva suscitato non poche polemiche: a seguito della caduta di un’impiegata mentre ritornava in ufficio dopo una pausa al bar, il giudice aveva stabilito che l’incidente non potesse essere considerato un infortunio lavorativo.
Tuttavia, nel caso in oggetto la lavoratrice è stata travolta all’interno del capannone, e a nulla è valsa la difesa della società secondo cui la dipendente non fosse intenta a svolgere le proprie mansioni.
Secondo la Cassazione “le regole di prudenza e le norme di prevenzione vincolano [in modo] permanente i destinatari in ogni fase del lavoro, senza che sia possibile configurare vuoti normativi o di responsabilità in relazione a particolari operazioni da compiere in situazioni o siti pericolosi”.
“Le misure di sicurezza”, ha concluso la sentenza, “devono essere predisposte e mantenute, sia pure con diverse modalità, [in base] alla natura del lavoro da svolgere e alla fase produttiva, prima e durante ciascuna fase del processo lavorativo ed anche al termine di essa”.
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