Condannato per maltrattamenti in famiglia: per la Cassazione il licenziamento è illegittimo

licenziamento illegittimo per maltrattamenti in famiglia
(foto Shutterstock)

Il danno all’immagine dell’azienda causato dalle azioni del dipendente non è dimostrabile oggettivamente, ha spiegato la Corte

Ha suscitato molte polemiche una recente sentenza della Corte di Cassazione, la numero 22077 del 24 luglio 2023, che ha dichiarato l’illegittimità del licenziamento per un dipendente di un’azienda campana.

La società aveva interrotto i rapporti con l’uomo a causa della sua condotta extralavorativa, dopo che l’operaio era stato accusato di maltrattamenti nei confronti dell’ex moglie e della compagna.

La sentenza della Corte offre spunti interessanti in merito al rapporto tra vita privata e lavorativa: la Cassazione ha infatti stabilito che “seppur deprecabili, [i maltrattamenti] non sono in grado di influire sul rapporto di lavoro neppure in via indiretta, né sul piano del clamore mediatico”.

Il caso

L’uomo lavorava come operaio in una nota casa automobilistica italo americana, ed era stato coinvolto in un procedimento penale per maltrattamenti, ingiurie e lesioni personali nei confronti dell’ex moglie e della compagna convivente. Per lui erano scattati gli arresti domiciliari, poi tramutati in obbligo di firma.

Una volta scoperti i problemi legali dell’uomo, l’azienda ha deciso di licenziare il dipendente per giusta causa.

Le motivazioni della società: possibile danno di immagine

È ormai frequente per le aziende inviare contestazioni disciplinari non solo per gli inadempimenti durante l’orario di lavoro, ma anche per situazioni legate alla vita privata.

In effetti, è possibile che i comportamenti “fuori dal lavoro” portino al licenziamento. Tuttavia, come ricorda la giurisprudenza, “affinché una condotta illecita extra lavorativa possa assumere rilievo disciplinare è necessario che siano lesi gli interessi morali e/o materiali del datore di lavoro, oppure che sia compromesso il vincolo fiduciario”.

Nel caso analizzato, l’azienda ha ritenuto che le condotte del dipendente avessero leso irrimediabilmente il rapporto di fiducia, temendo che l’uomo potesse assumere atteggiamenti simili anche sul lavoro e causare importanti danni all’immagine dell’azienda.

La motivazione del licenziamento e l’onere della prova

Nonostante la grave condotta dell’uomo, il licenziamento è stato annullato dalla Corte d’Appello, sentenza confermata poi dalla Corte di Cassazione. Le motivazioni hanno evidenziato chiaramente la mancanza di prove in merito alle accuse mosse dall’azienda.

Ai sensi dell’articolo 5 della legge 604/1966, infatti, “l’onere della prova della sussistenza della giusta causa o del giustificato motivo di licenziamento spetta al datore di lavoro”. Anche nel caso di episodi gravissimi come maltrattamenti in famiglia e lesioni personali, dunque, non è sufficiente esporre il timore che il rapporto di fiducia venga violato o che vi sia un danno all’immagine dell’azienda, bensì andranno dimostrate le ripercussioni concrete sul rapporto e il danno causato all’azienda. 

Il danno sociale va valutato in concreto

Secondo la motivazione della sentenza, “la verifica del fatto illecito” deve includere una considerazione del “danno sociale oggettivo” nello specifico contesto aziendale, così da evitare che ogni condotta extralavorativa accertata come reato porti sempre a un illecito disciplinare e quindi a un possibile licenziamento, data anche “la non perfetta sovrapponibilità tra sistema penale e sistema disciplinare.

Pertanto, se l’azienda adduce come motivazione per il licenziamento il “disvalore sociale della condotta”, è necessario che “i fatti contestati […] abbiano in concreto assunto una specifica rilevanza disciplinare, tenuto conto delle mansioni […] [del] lavoratore e dell’ambito lavorativo aziendale”.

Semplici congetture sul fatto che l’uomo possa tenere gli stessi comportamenti anche in ambito lavorativo non sono dunque sufficienti, ma sarà necessario un riscontro concreto e oggettivo – soprattutto se in ambito lavorativo non si sono mai effettivamente verificati episodi analoghi.

Il danno all’immagine va contestualizzato e dimostrato

Lo stesso ragionamento si applica al danno all’immagine dell’azienda: anche in questo caso non basterà evidenziare congetture e timori, ma la società avrà l’obbligo di spiegare “quale rilevanza giuridica avrebbe potuto avere quel comportamento extra lavorativo nel contesto aziendale, specie tenuto conto delle mansioni svolte nell’organizzazione aziendale”.

 

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