Condannato per stupro in discoteca: licenziato dopo 10 anni

Licenziato dopo la condanna per violenza sessuale
(foto Shutterstock)

La Cassazione ha ribaltato le sentenze di primo e secondo grado che avevano disposto la reintegra del lavoratore condannato in sede penale

La Corte di Cassazione, con la sentenza numero 14114 del 23 maggio 2023, ha ribaltato le due precedenti sentenze del Tribunale e della Corte d’Appello che avevano dichiarato illegittimo il licenziamento.

Secondo la Suprema Corte, integra giusta causa di licenziamento la condanna definitiva per stupro, anche se questa è intervenuta a distanza di 10 anni da quando è stato commesso il fatto. Si tratta, infatti, di un comportamento idoneo a ledere irrimediabilmente il vincolo fiduciario, a prescindere dal tempo trascorso e dal contesto extralavorativo.

Il caso

Un lavoratore commette una violenza sessuale durante una festa in discoteca. Viene individuato e processato in sede penale. In seguito alla condanna definitiva la società, venuta a conoscenza dell’episodio, commina al dipendente il licenziamento per giusta causa.

Il lavoratore impugna il licenziamento e vince in primo e in secondo grado: il fatto è “insussistente”, il licenziamento è illegittimo e deve essere reintegrato in azienda. Secondo il Tribunale e la Corte d’Appello, la condotta contestata al lavoratore “non era connotata da particolare gravità tenuto conto del tempo trascorso da quel fatto e della mancanza di altre violazioni di legge”. 

Inoltre, i giudici “hanno ritenuto che tali circostanze deponessero nel senso che si potesse prevedere che il lavoratore non si sarebbe reso nuovamente responsabile di azioni analoghe idonee a ledere il rapporto fiduciario”.

Infine, il fatto addebitato al lavoratore, risalente a oltre tredici anni prima e rimasto isolato, si era realizzato al di fuori dell’attività lavorativa e, dunque, si poteva ritenere che non potesse avere rilievo nello svolgimento di mansioni a contatto con la clientela.

La Corte di Cassazione: la violenza sessuale rileva sempre, anche se extralavorativa

La Suprema Corte ha accolto il ricorso presentato dalla società e ha ribaltato la sentenza d’appello, riaprendo così il processo e indicando degli importanti principi di diritto, a cui si dovranno attenere i nuovi giudici di appello che dovranno riesaminare il caso.

La Corte di Cassazione non ha condiviso alcun passaggio della motivazione della Corte d’Appello. A cominciare dalla considerazione sulla gravità dei fatti e sul tempo trascorso dal momento della commissione a quello della contestazione.

Secondo la Cassazione “non c’è dubbio che il comportamento per il quale il lavoratore è incorso in una condanna in sede penale, per quanto risalente nel tempo, rivesta un carattere di gravità che non può essere suscettibile di attenuazione solo per effetto del tempo trascorso, dato del tutto neutro”.

Il fatto rileva anche se commesso in un contesto extra lavorativo

Secondo la Corte di Cassazione, la condotta contestata “non può esser considerata meno grave, secondo il diffuso comune sentire, solo perché si è svolta in un luogo deputato al divertimento”. 

Una violenza sessuale ai danni di una minore di età, in qualsiasi contesto sia commessa, secondo uno standard socialmente condiviso è una condotta che, per quanto di per sé estranea al rapporto di lavoro, è idonea a ledere il vincolo fiduciario a prescindere dal contesto in cui la stessa è stata commessa e dal tempo trascorso dal fatto, a maggior ragione ove l’attività lavorativa svolta ponga il lavoratore a diretto contatto col pubblico”.

Il fatto ha rilevanza disciplinare anche se commesso 10 anni prima

Con riguardo al tempo trascorso tra la commissione del fatto, l’avvio del procedimento disciplinare e l’incidenza sul vincolo fiduciario, la valutazione deve essere eseguita tenendo sempre in considerazione la “verifica della persistenza del rapporto fiduciario che deve sorreggere la relazione tra datore di lavoro e lavoratore” e che può essere comunque compromessa dalla scoperta di questo tipo di addebiti penali. 

Inoltre, precisa la Corte di Cassazione, come ulteriore censura della sentenza di appello, il contratto collettivo applicato prevede il licenziamento disciplinare nel caso di “condanna passata in giudicato per condotta commessa non in connessione con lo svolgimento del rapporto di lavoro, quando i fatti costituenti reato possano comunque assumere rilievo ai fini della lesione del rapporto fiduciario”. 

Pertanto, “in base a tale disposizione collettiva, richiamata nella lettera di licenziamento, il giudice è tenuto a valutare la gravità del fatto costituente reato per come accertato e valutato in sede penale e con efficacia di giudicato senza che a tal fine rilevino altri elementi di contorno esterni, quale ad esempio il tempo trascorso e l’unicità del fatto”.

Leggi anche:

Che cos’è la contestazione disciplinare?

Matrimonio e licenziamento: quali tutele?

Quando un licenziamento è nullo: casi e tutele per il lavoratore

Iscriviti alla nostra newsletter

Ricevi gratuitamente le ultime novità, le storie e gli approfondimenti sul mondo del lavoro.