Il Giudice può ordinare la reintegrazione del lavoratore anche quando il fatto contestato è realmente avvenuto, ma non ha rilievo disciplinare
Una lavoratrice è stata licenziata perché, come da lei esplicitamente ammesso, si era allontanata dal posto di lavoro.
La dipendente ha impugnato il licenziamento e il Tribunale, ritenendo che il suo comportamento non fosse talmente grave da giustificare il licenziamento, ha dichiarato l’illegittimità del provvedimento condannando il datore a versarle una somma di denaro a titolo di risarcimento (decisione poi confermata in secondo grado).
Non contenta, la lavoratrice ha impugnato la sentenza emessa chiedendo la reintegrazioneÈ una delle forme di tutela del lavoratore in caso di licenziamento illegittimo e consiste nell’obbligo, a carico del datore di lavoro, di riammettere il dipendente nella posizione che occupava prima del licenziamento. More nel posto di lavoro.
È possibile ottenere la riammissione nel posto di lavoro anche quando il fatto contestato si è effettivamente verificato ma non è così grave da giustificare il licenziamento disciplinareÈ la sanzione estrema che il datore può infliggere a fronte di comportamenti del lavoratore contrari alle regole stabilite dalla legge e dal codice disciplinare aziendale. More?
In base alla legge attuale la reintegrazione nel posto di lavoro può essere disposta dal Giudice solo in caso di licenziamento nullo o discriminatorio (es. mancanza di forma scritta, discriminazione razziale, licenziamento di lavoratrice incinta ecc.)
In caso di licenziamento disciplinare, invece, è possibile ottenere la reintegrazione solo nel caso di insussistenza del fatto materiale contestato al dipendente.
In tutti gli altri casi l’unica tutela applicabile rimane quella del risarcimento del danno.
La legge sembra escludere la possibilità per il Giudice di concedere la reintegrazione nel posto di lavoro quando ritenga il licenziamento disciplinare esagerato rispetto alla gravità del fatto commesso.
In tale ipotesi, egli potrebbe soltanto condannare il datore di lavoro a risarcire economicamente l’ex-dipendente.
Tuttavia, nel caso in questione la Cassazione ha affermato che l’insussistenza del fatto contestato si ha non solo quando non sia mai accaduto nella sua materialità, ma anche quando, pur effettivamente commesso, non abbia rilevanza disciplinare (Sentenza n. 12174/2019).
Il Giudice, in tal modo, riacquista il potere di valutare se la sanzione del licenziamento disciplinare sia o meno proporzionata alla gravità della condotta del lavoratore e, in caso negativo, può concedere la reintegrazione.