Quali sono i casi di licenziamento illegittimo?

(foto Shutterstock)

Nel caso di licenziamento illegittimo hai diverse tutele, che variano a seconda della gravità del vizio, dalle dimensioni dell’azienda e dalla data di assunzione

Dalla reintegra a poche mensilità: la tutela in caso di licenziamento illegittimo dipende dalla combinazione di molti fattori. Ad esempio, la gravità del vizio del licenziamento, le dimensioni dell’azienda, l’anzianità di servizio e persino dalla data di assunzione

Non è sempre facile prevedere le possibili conseguenze di questo fatto. In questo articolo passiamo in rassegna i principali fattori indicati dal legislatore che condizionano le tutele previste a favore del lavoratore.

Quali sono i vizi

In termini generali si parla di “illegittimità del licenziamento” per fare riferimento a tutti i possibili vizi di un licenziamento. Per “vizi”, invece, si intendono gli errori o le patologie che colpiscono il licenziamento intimato dall’azienda. Questi ultimi possono essere formali o sostanziali, a seconda che riguardino il procedimento disciplinare oppure i fatti o le norme contestate.

Il vizio più grave è la nullità: in questi casi il legislatore adotta una “finzione giuridica” e ritiene che il recesso sia privo di effetti: è come se il rapporto non si fosse mai interrotto.

Negli altri casi, si parla di annullamento, che riguarda tutte le altre numerose ipotesi di vizi.

Perché è importante la data di assunzione?

Il tipo di tutela prevista a favore del lavoratore dipende anche dalla data di assunzione. Questo è un aspetto spesso sottovalutato dal dipendente, ma ha un’importanza decisiva.

La data da prendere come riferimento è il 7 marzo 2015:

  • per gli assunti prima di questa data, si applicano le tutele previste dallo Statuto dei Lavoratori, più precisamente dall’articolo 18 della legge 300 del 1970 
  • per gli assunti dal 7 marzo 2015, invece, la disciplina è prevista dal decreto legislativo 83 del 2015, uno dei decreti emanati nella più ampia riforma denominata Jobs Act

Le tutele previste dallo Statuto dei Lavoratori sono più incisive e danno più garanzie al dipendente. Tuttavia, l’originario impianto normativo del Jobs Act è stato oggetto di alcune sentenze della Corte Costituzionale che hanno esteso, in senso più favorevole, le tutele per i lavoratori.

Dimensioni aziendali: cosa cambia?

Le tutele del lavoratore, in caso di licenziamento illegittimo, cambiano in base anche al numero di dipendenti dell’azienda.

Entrambe le normative applicabili – Statuto dei Lavoratori e Jobs Act – considerano gli stessi parametri per differenziare le tutele per i dipendenti delle piccole aziende da quelle delle aziende medio-grandi.

Sono considerate “medio-grandi”, le società che, alternativamente, soddisfano questi requisiti dimensionali:

  • in tutto il territorio occupano in totale più di 60 dipendenti;
  • in ciascuna sede, stabilimento, filiale, ufficio o reparto autonomo nel quale ha avuto luogo il licenziamento occupano più di 15 lavoratori; 
  • nello stesso comune occupano più di 15 dipendenti al datore di lavoro.

Proprio in virtù delle minori dimensioni occupazionali, il licenziamento illegittimo intimato da una piccola azienda garantisce una tutela meno incisiva al lavoratore.

La nullità del licenziamento

È il vizio più grave che può colpire il licenziamento. I casi di nullità sono espressamente previsti dalla legge. 

Si parla di “nullità”, ad esempio, in questi casi:

In tutti i casi di nullità, a prescindere dalle dimensioni aziendali, il lavoratore ha diritto alla reintegra nel posto di lavoro e al pagamento di tutte le mensilità dalla data del licenziamento fino all’effettiva ripresa in servizio.

L’illegittimità

Negli altri casi diversi dalla nullità, per i dipendenti di aziende medio-grandi le conseguenze variano dalla reintegra al pagamento di un’indennità risarcitoria.

Ad esempio, nel caso di illegittimità per insussistenza del fatto contestato, il lavoratore ha diritto alla reintegra oltre al pagamento di un’indennità risarcitoria.

Nel caso in cui il licenziamento rappresenti una misura sproporzionata rispetto ai fatti contestati, le tutele prevedono la reintegra e il pagamento di un’indennità risarcitoria fino ad u massimo di 12 mensilità; per gli assunti post 7 marzo 2015 non è prevista la reintegra, ma esclusivamente un’indennità da 6 a 36 mensilità.

Nelle ipotesi, invece, in cui il giudice ritenga che non sussista la giusta causa, la tutela è esclusivamente economica e può variare da 12 a 24 mensilità e – per gli assunti post 7 marzo – da 6 a 36 mensilità.

Come si calcola l’indennità risarcitoria?

L’indennità è quantificata in mensilità. Il numero di mensilità dipende da molteplici fattori che devono essere considerati dal giudice. Secondo l’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori, il numero di mensilità deve essere calcolato “in relazione all’anzianità del lavoratore e tenuto conto del numero dei dipendenti occupati, delle dimensioni dell’attività economica, del comportamento e delle condizioni delle parti, con onere di specifica motivazione a tale riguardo”.

Invece, la disciplina originaria del Jobs Act considerava esclusivamente il parametro dell’anzianità pari a due mensilità per anno lavorativo, da un minimo di 6 a un massimo di 36 mensilità

Tuttavia, la Corte Costituzionale, con la sentenza numero 194 del 2018, ha ritenuto che un simile calcolo, meramente matematico, non fosse costituzionalmente legittimo. Pertanto, nella quantificazione dell’indennità risarcitoria, si applicano i criteri indicati dallo Statuto dei Lavoratori anche ai lavoratori soggetti alla disciplina del Jobs Act.

 

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