Una recente sentenza della Cassazione ci permette di rivedere quali sono i presupposti e rimedi del licenziamento per giustificato motivo oggettivo
Una società che gestisce un centro estetico licenzia una propria collaboratrice. Il licenziamento viene intimato per giustificato motivo oggettivo, ossia per crisi e ragioni economiche.
Secondo la società, il bilancio aziendale aveva subito un calo del 10% dei ricavi, unitamente a un aumento dei costi del personale. Queste circostanze hanno portato alla decisione di sopprimere il posto di lavoro della dipendente e assegnare le sue mansioni alle colleghe che, a parità di carichi di famiglia, garantivano una maggiore presenza al lavoro.
La lavoratrice ha impugnato il licenziamento, sostenendo e dimostrando che, proprio prima della decisione aziendale, la società aveva assunto altre collaboratrici.
È quello che avviene per ragioni economiche, tecnicamente “per motivo oggettivo”. In tutte le ipotesi di crisi aziendale, crisi o riduzioni di fatturato o ristrutturazioni aziendale, anche finalizzate a una maggiore efficienza e riduzione dei costi, le società possono adottare questa misura.
Questa particolare ipotesi è molto frequente ed è disciplinata dalla legge e dai principi espressi dalla giurisprudenza.
La fonte legislativa è la legge 604 del 1966: l’articolo 3 prevede che “Il licenziamento per giustificato motivo con preavviso è determinato da un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali del prestatore di lavoro ovvero da ragioni inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa”.
La giurisprudenza ha declinato in concreto i presupposti generali indicati dalla norma e ha specificato le regole che l’azienda deve osservare per un corretto licenziamento per giustificato motivo oggettivo.
In particolare:
La Corte di Cassazione poi ricorda che “l’onere probatorio in ordine alla sussistenza di questi presupposti è a carico del datore di lavoro, che può assolverlo anche mediante ricorso a presunzioni”.
Uno degli errori più gravi che può commettere un’azienda che ha da poco comunicato un licenziamento per giustificato motivo oggettivo è quello di effettuare, poco prima o poco dopo, una nuova assunzione.
Come visto, la giurisprudenza richiede che la soppressione del posto sia definitiva e non simulata. Ciò significa che se l’azienda sopprime un posto (o un reparto) e poco dopo (o poco prima) effettua delle nuove assunzioni per le medesime mansioni, il licenziamento è in realtà motivato da altre ragioni, diverse dalla crisi aziendale.
Non c’era infatti alcuna vera ragione di sopprimere quel posto se, poco prima o dopo la comunicazione del licenziamento, sono state inserite in organico altre risorse.
La Corte di Cassazione, con la recente sentenza 752 del 2023, ha confermato che le nuove assunzioni, operate prima (o dopo) il licenziamento, rischiano di interrompere il nesso di causalità tra le ragioni produttive aziendali e la soppressione del posto di lavoro.
Infatti, secondo la Cassazione, le “ragioni inerenti all’attività produttiva e all’organizzazione del lavoro, comprese quelle dirette a una migliore efficienza gestionale ovvero a un incremento della redditività, devono determinare un effettivo mutamento dell’assetto organizzativo attraverso la soppressione di un’individuata posizione lavorativa”.
I rimedi contro un licenziamento per giustificato motivo oggettivo dipendono dalle dimensioni dell’azienda che lo ha comminato e dalla data di assunzione del lavoratore.
Per esempio, per un lavoratore assunto prima dell’8 marzo 2015 da una società con più di 60 dipendenti, la tutela varia da un risarcimento non inferiore a dodici mensilità ai casi più gravi, dove è prevista la reintegra e un’indennità risarcitoria. Per gli assunti dall’8 marzo 2015, invece, è prevista un’indennità risarcitoria non inferiore a sei mensilità.
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