La retribuzione avviene soprattutto in denaro, ma anche attraverso beni e servizi. Vediamo qualche esempio pratico
La retribuzione in natura: se ne sente parlare spesso, ma non abbiamo un’idea precisa di cosa sia. Questi benefici, forniti o messi a disposizione dal datore di lavoro, però, sono più comuni di quello che si pensa. Spesso infatti vanno a integrare la nostra retribuzione: basti pensare al cellulare aziendale o alla mensa.
Essendo considerati un’erogazioni a fronte di un’attività lavorativa, però, sono sottoposti a una disciplina specifica per quanto riguarda la tassazione. In questo articolo vediamo quali sono le retribuzioni in natura più comuni e il loro trattamento fiscale.
Non esiste una vera e propria definizione per questo tipo di retribuzione. Lo stesso codice civile, però, lo riconosce come uno dei metodi con cui il lavoratore può essere retribuito per il suo lavoro.
La retribuzione in natura consiste nell’insieme di beni e servizi che il lavoratore riceve e che sono utili per sé o per la sua famiglia. Questo vuol dire quindi che la retribuzione in natura non è una somma di denaro, ma è spesso un bene o un servizio da utilizzare direttamente.
Gli esempi che si possono fare per definire questo tipo di retribuzione sono tantissimi, perché i beni possono essere i più svariati.
Ad esempio, per l’esercizio delle sue funzioni a un lavoratore può essere data la macchina aziendale, con in più la possibilità di utilizzarla anche nei weekend. In questo caso, il bene, cioè l’autovettura, viene sfruttata sia dal lavoratore che dai suoi familiari.
Ci sono però anche altri esempi:
Il principale problema riguardo alla retribuzione in natura è come tassare queste erogazioni. Generalmente, si attribuisce un valore al bene per poterlo poi eventualmente tassare, ma anche per poterne calcolare l’incidenza su altri elementi, come il calcolo del TFR e il calcolo dell’indennità sostitutiva del preavviso.
Ad esempio, una retribuzione più alta andrebbe a incidere positivamente sulla quota accantonata nel trattamento di fine rapporto.
Un ulteriore motivo per cui si cerca di attribuire un valore a questa retribuzione è il calcolo dei contributi previdenziali, che vengono versati generalmente all’Inps.
Per capire se un bene verrà o meno tassato, bisogna fare riferimento all’art 51 del Testo Unico sull’Imposta dei Redditi.
Questa categoria di erogazioni vengono generalmente aggiunte alla normale retribuzione del dipendente, per integrarne il compenso e incentivarne la produttività.
La loro caratteristica principale è che non sono soggette a tassazione, ma solo se non superano la soglia di 258,23 euro l’anno. Quando superano questa soglia, l’intero importo viene assoggettato a contributi e imposte.
Per venire incontro ai bisogni dei cittadini, questo particolare tipo di retribuzione è spesso oggetto di deroghe legislative, come per esempio l’aumento della soglia di non tassabilità a 3.000 euro per l’anno 2023, ma solo per le persone con figli. È bene quindi tenere sempre presente le eventuali regole previste dal Governo per ogni anno.
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