In genere, nel contratto di lavoro viene indicato il luogo in cui verrà svolto, ma non significa che il lavoratore eserciterà sempre nello stesso posto
Trasferta e trasfertismo sono due termini che si riferiscono al luogo in cui un lavoratore svolge la sua attività lavorativa. Benché simili, sono però due concetti diversi.
Capita di frequente che un lavoratore venga inviato dal proprio datore in luogo diverso da quello in cui abitualmente svolge la prestazione lavorativa, che deve essere indicata nel contratto.
Succede anche che il luogo di lavoro non sia esplicitato e che quindi il lavoratore si trovi, per contratto, a lavorare da posti sempre diversi.
Sono due condizioni comuni ma diverse. Vediamo quali sono gli elementi principali che distinguono le due modalità di lavoro e quali sono le loro specificità.
La trasferta consente al datore di inviare temporaneamente il lavoratore in un luogo diverso da quello abituale per svolgere la prestazione lavorativa.
L’elemento cardine della trasferta è proprio la temporaneità, oltre al diritto del lavoratore a vedersi riconosciuti, a seconda di quanto previsto dai CCNL, l’indennità di trasferta e i rimborsi spesa. L’indennità è visibile nella parte centrale della busta paga, dove vengono esplicitate le giornate di trasferta per le quali si ha diritto all’indennità stessa e l’importo complessivo.
Per quanto riguarda l’aspetto fiscale, invece, questa voce retributiva aggiuntiva concorre integralmente a formare il reddito del lavoratore (e quindi è soggetta a tassazione integrale) solo se viene erogata in riferimento a una trasferta eseguita all’interno del territorio comunale dove ha sede l’azienda. Nei casi di trasferte extra-comunali, invece, concorre solo nella misura del 50% del suo importo.
Che cosa si intende per lavoratore trasfertista?
Un lavoratore viene definito trasfertista quando è chiamato a lavorare in ambienti e luoghi sempre diversi, non essendo così possibile definire una “sede abituale” di lavoro. All’interno del contratto di assunzione e della busta paga, infatti, non sarà indicata una sede di lavoro.
In questi casi, il soggetto ha comunque diritto a vedersi riconosciuta un’indennità a tutela del disagio causato dalla continua mobilità. Questa viene definita indennità di trasfertismo e viene riportata all’interno della busta paga, ma con modalità e criteri un po’ differenti rispetto a quella di trasferta:
A seconda che il lavoratore sia in trasferta o trasfertista, dovrà documentare eventuali spese sostenute in base a quanto stabilito dai CCNL di riferimento.
Le voci che maggiormente danno diritto al rimborso sono le seguenti:
Attenzione: è importante conoscere quale metodo di rimborso è stato scelto dal datore di lavoro all’interno della sua azienda. Il TUIR, infatti, consente tre diverse modalità: analitico, forfettario o misto.
Nell’analitico il datore di lavoro rimborserà solo le spese effettivamente sostenute e documentate dal lavoratore, nel forfettario, invece, provvederà al rimborso secondo una cifra massima stabilita a priori. Il sistema misto, infine, racchiude entrambe le metodologie.
Generalmente sì; un lavoratore trasfertista può essere considerato in trasferta quando deve operare al di fuori del territorio di competenza definito di comune accordo nella lettera di conferimento.
In questi casi, quindi, il lavoratore avrà diritto non solo all’indennità di trasfertismo ma anche a quella di trasferta per la prestazione resa al di fuori del territorio concordato.
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