Concedersi pause, concentrarsi sull’essenziale: così aiuto i campioni a vincere

Nicoletta Romanazzi, la mental coach degli sportivi

Nicoletta Romanazzi, mental coach, ci spiega come funziona il coaching e perché è così importante, anche sul lavoro

Conosciuta dai più come la mental coach degli sportivi, Nicoletta Romanazzi ha lavorato accanto ad alcuni tra gli atleti più famosi al mondo. Uno fra tutti: Marcell Jacobs, campione dei 100 metri piani, due volte medaglia d’oro alle Olimpiadi di Tokyo

Ha aiutato Viviana Bottaro, campionessa olimpica di Karate, a rialzarsi dopo una caduta che rischiava di mettere fine alla sua carriera, e ha accompagnato Andrea Mari, fantino plurivincitore del Palio di Siena, a ritrovare la motivazione quando pensava di smettere di correre dopo un grave infortunio.

Il suo segreto? Lavorare sulle persone, aiutarle ad affrontare le proprie paure e le proprie emozioni, imparando ad accoglierle.

Come ti sei avvicinata al mondo del mental coaching?

«Quando ho conosciuto il mental coaching è stato amore a prima vista, ma è stato un incontro tardivo. La mia famiglia aveva un’azienda metalmeccanica ben avviata e quella sembrava la scelta più naturale per me, anche se sicuramente non era ciò che desideravo. L’esperienza in azienda non era stimolante, poi sono arrivate le mie figlie: prima le due gemelle, poi la terza. Ho avuto un periodo in cui mi iscrivevo a mille corsi, alla ricerca di una strada che rispecchiasse di più le mie ambizioni.

L’illuminazine è arrivata per caso, con un corso sul raggiungimento degli obiettivi. Quando ho scoperto la figura del mental coach mi si è aperto un mondo e ho capito che nella vita volevo fare esattamente quello, e così è stato. Ormai sono 21 anni».

Che effetto fa lavorare con atleti di fama mondiale?

«Ho sempre amato molto lo sport. Non l’ho mai praticato a livello agonistico, ma mi piace molto, lo seguo con trasporto, non ho mai perso un’olimpiade. Lavorare con gli atleti è sfidante: i risultati devono arrivare velocemente e sono visibili a tutti. Amo il fatto che sono determinati, orientati all’obiettivo, abituati all’allenamento. Quando spiego loro che non basta venire dal mental coach, e che oltre la sessione c’è l’allenamento, loro capiscono a pieno il senso delle mie parole e lavorano moltissimo. E i risultati si vedono».

Quali temi ti portano quando si rivolgono a te?

«Dipende, le ragioni per cui arrivano da me sono le più diverse. Alcuni arrivano in seguito ad un infortunio, o magari dopo essere rimasti in panchina per un po’ di tempo, o anche solo perché hanno un obiettivo importante. Altre volte ancora hanno un cattivo rapporto con gli allenatori o non riescono a gestire la pressione esterna.

Quest’ultimo tasto è delicatissimo: pubblico, federazioni, famiglia, allenatori. Gli sportivi subiscono pressioni da ogni parte e imparare a gestire questo stress è molto importante. Luigi Busà, karateka e campione olimpico a Tokyo 2020, quando è arrivato da me, non ne poteva più di essere sempre il primo. Non ne poteva più delle aspettative degli altri, non riusciva più a divertirsi con quella che era la più grande passione della sua vita.

Gli atleti professionisti sono molto focalizzati, molto razionali, hanno il mito del sacrificio e della fatica. Nella loro visione, spesso, il riposo non è accettabile. E arrivano a irrigidirsi, a perdere il piacere e il divertimento che invece deve essere la ragione alla base del loro impegno. Spesso con loro il percorso è incentrato sul ritrovare una parte di sé più disimpegnata, più leggera, più orientata al divertimento».

E come si fa a ritrovare questa parte di sé?

«Quando le persone arrivano da me, cerchiamo insieme di capire dove è nato lo squilibrio, motivo del loro malessere. A volte le cause vanno cercate nella pressione esterna, ma anche nella sfera più personale. Non siamo fatti a compartimenti stagni e la vita privata influisce ovviamente.

Quando le persone iniziano a conoscersi meglio, allora possono “liberarsi” dai pesi inutili, che magari rendono felice qualcun altro ma non loro. E possono riappropriarsi di ciò che invece amano.

Il percorso di mental coaching, anche per i manager, serve a questo: guardarsi dentro, riconoscere i propri meccanismi, liberarsi dal superfluo e concentrarsi su quello che per noi è essenziale, imparando ad entrare in uno stato di massima concentrazione. Questa capacità si può allenare e ha un valore enorme: aiuta a cambiare stato d’animo, gestire le emozioni, sfruttare meglio il proprio potenziale. Le emozioni contano tantissimo, a volte più della stessa preparazione atletica. E saperle gestire, chiaramente, dà un vantaggio enorme».

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