Docenti e piattaforme di e-learning per favorire la formazione digitale e creare nuovi professionisti per le aziende
Il gap tra domanda e offerta di figure professionali è sempre più accentuato nell’ambito digitale e le aziende hanno necessità di trovare candidati con competenze ben specifiche, che attualmente mancano. A colmare questa carenza ci sta pensando Digit’Ed, società di formazione leader nel digital learning.
Come? Mettendo a disposizione ben 200, tra professionisti e docenti, per la formazione digitale, alla quale sono dedicati 500 progetti di upskilling e reskilling, e oltre 10 mila titoli formativi fruibili attraverso la sua library.
Digit’Ed è il risultato di una riflessione molto seria sulla necessità di formare professionisti in grado di affrontare la transizione digitale. La società è un gruppo partecipato da NexItalia Sgr e Intesa SanPaolo: la prima è una piattaforma di investimento dedicata alla promozione delle eccellenze italiane, il secondo è uno degli istituti di credito più importanti e conosciuti del Paese.
Digit’Ed è nata dalla volontà di riempire lo skill gap esistente nell’area digitale, per dare un impulso alle aziende, interessate ormai in modo trasversale dalla trasformazione digitale e dallo sviluppo delle nuove tecnologie.
Lo scopo della società è quello di ampliare il più possibile l’offerta formativa di laureati, manager, professionisti e realtà aziendali, e intende farlo stringendo alleanze e accordi con alcuni tra i protagonisti del mondo dell’istruzione e della formazione.
Risale proprio a questi ultimi mesi l’accordo stretto con Treccani, con il quale Digit’Ed ha acquistato il 49% del capitale di Treccani Accademia. Con questa alleanza, la società si impegna a trasformare in chiave digitale tutti i contenuti dell’Accademia, con l’obiettivo di raggiungere quante più persone possibili.
Secondo Confindustria, il 40% delle persone impiegate oggi nelle aziende ha necessità estrema di aggiornare la propria professione e implementare le proprie competenze. Il digital mismatch è il mancato allineamento tra offerta e domanda di lavoro parametrate sulle nuove competenze digitali. Questo gap rischia di frenare pesantemente la ripresa dell’economia, in generale.
Specie considerando il post pandemia e le conseguenze che essa ha portato nel mondo del lavoro, risulta indispensabile invertire la rotta. E-commerce e smart workingÈ una nuova modalità di svolgimento dell’attività lavorativa, introdotta dalla l. 81/2017 e caratterizzata dall’assenza di precisi vincoli di orario e di luogo di lavoro per il dipendente. More sono fenomeni consolidati, entrati a far parte di realtà aziendali anche molto piccole.
Per affrontare questa trasformazione servono investimenti in infrastrutture, ricerca e innovazione, ma anche in formazione del capitale umano. Scuola, formazione continua e continui investimenti infrastrutturali che vedano al centro la digital transition.
Secondo il Boston Consulting Group, il problema del digital mismatch era emerso già durante la pandemia, e ora potrebbe generare perdite, in termini di produttività, tra il 6 e l’11% e una mancata crescita del PIL nell’ordine complessivo di 18 trilioni di dollari entro il 2025.
Per questa ragione, occorre colmare rapidamente il gap tra domanda e offerta, riducendo il digital mismatch. Un gap che, secondo il Rapporto annuale ISTAT 2021, è il risultato anche della bassa incidenza delle lauree in discipline STEM (Science, Technology, Engineering and Mathematics) nel nostro Paese.
L’Italia, con il 15,5 per mille di individui tra i 20 e 29 anni laureati STEM, è al di sotto della media europea di 4,1 punti per mille. La distanza è particolarmente ampia se si confronta con Paesi come Francia (26,6 per mille), Regno Unito (25,2 per mille) e Spagna (21,5 per mille). La differenza è maggiore per gli uomini ma, anche considerando le donne, il gap con il resto d’Europa non si riduce.
Le discipline STEM sono indicate come la vera chiave per ridurre il digital mismatch, così come le professioni ICT rappresentano una componente strategica per la competitività e per l’evoluzione dei sistemi produttivi verso una maggiore sostenibilità. L’Italia ha destinato a progetti di digitalizzazione circa il 27% dei 222 miliardi di risorse comprese nel Programma Nazionale di Ripresa e Resilienza.
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