Gestire i conflitti per migliorare il clima aziendale e salvaguardare la produttività: una leadership efficace
Le opinioni personali su politica e tematiche che riguardano la vita in generale possono influire sul benessere delle organizzazioni: per questo è importante saper gestire i conflitti all’interno delle aziende, e saper trasformare la diversità di vedute in una risorsa di sviluppo e crescita anche personale.
Visioni differenti su questioni ideologiche, e approcci ottusi come il razzismo, la discriminazione di genere, religiosa o sessuale possono letteralmente inquinare il clima in azienda, mettendo a rischio l’employer branding e la produttività aziendale. Ceo e HR hanno a disposizione la strategia giusta per prevenire i conflitti.
Il momento ideale per intervenire su possibili conflitti è la fase di onboarding: all’inizio, il dipendente neoassunto è attento a capire come funziona la realtà aziendale, ed è meno predisposto a dare peso alla diversità di opinioni con i colleghi. È in questo momento che l’HR deve chiarire le regole e le procedure aziendali sulla necessità di rispettare principi universali e di non invadere lo spazio intellettuale dei colleghi.
In questo contesto iniziale favorevole, l’HR può spiegare ai nuovi arrivati che la diversità viene vista dall’azienda come occasione di arricchimento, sia a livello personale che per l’intera azienda. Alla luce di questa predisposizione all’apertura che caratterizza l’organizzazione, va chiarito che certi comportamenti, in qualsiasi modo, irrispettosi del prossimo sono assolutamente vietati.
Sia nel momento dell’onboarding, ma anche durante tutto il percorso di un lavoratore in azienda, va ricordata la necessità di avviare, in ogni circostanza, un confronto costruttivo e rispettoso delle opinioni altrui.
Non solo: è importante sottolineare che, anche nel caso di divergenze su questioni strettamente legate al lavoro, la diversità di vedute è positiva e, se gestita con equilibrio, può portare a soluzioni più efficaci.
Inoltre, è bene far riflettere le persone sul fatto che, quando il confronto avviene su temi di natura politica, le reciproche percezioni possono essere distorte, e non allineate sul contenuto principale.
Il confronto tra colleghi su questioni legate a un’attività è positivo, purché la connotazione politica o ideologica di ognuno non li allontani dall’unico vero obiettivo: collaborare per raggiungere un risultato condiviso.
Il bias cognitivo, detto anche distorsione cognitiva, è un pattern sistematico di deviazione dalla norma o dalla razionalità nei processi mentali di giudizio.
In pratica, è la tendenza a creare una propria realtà soggettiva, risultato dell’interpretazione di informazioni che porta a una valutazione non oggettiva delle situazioni che si presentano.
I bias cognitivi sono quelli che portano le persone a perdere lucidità in momenti in cui, in azienda, è necessario trovare delle soluzioni ai problemi. Un modo per aiutare le persone in questi frangenti è quello di suggerire loro una riflessione più approfondita: fermarsi, e chiedersi se la tematica in questione tocchi delle parti emotive di sé, o dei nervi scoperti che allontanano da una visione oggettiva delle problematiche.
Saper gestire i conflitti tra e con i propri collaboratori implica anche essere capaci di un’auto analisi: manager e CEO, infatti, non sono immuni dai bias cognitivi, e in quanto esseri umani rischiano, anche se in misura minore, di farsi influenzare dalle proprie convinzioni politiche nella valutazione delle situazioni.
Umiltà e uguaglianza devono essere i criteri cardine del confronto anche nel management: è importante che le persone percepiscano l’onestà e la correttezza dei propri leader che, necessariamente, devono applicare a sé stessi il medesimo rigore insegnato ai loro collaboratori.
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