Ridurre al minimo gli spostamenti, mantenendo il movimento sociale ed economico che ruota attorno agli uffici: l’esperimento milanese è il primo in Italia e si propone come via di mezzo tra lavoro tradizionale e smart working
L’esperimento parte dal Comune di Milano ma, se funziona, potrebbe diventare presto un modello. Il “lavoro di vicinato”, o “nearworking”, nasce per offrire ai dipendenti del Comune (e delle relative società partecipate) la possibilità di lavorare vicino casa, ma non dentro casa. Un modo per agevolare chi ogni giorno è costretto ad affrontare un lungo viaggio per arrivare in ufficio, ma al contempo fatica a crearsi uno spazio di lavoro tra le mura domestiche.
Per tanti lavoratori, ridurre gli spostamenti corrisponde ad un miglior bilanciamento familiare ed un consistente risparmio economico in termini di carburante, parcheggio e abbonamenti ai mezzi pubblici. Lavorare da casa, del resto, non è per tutti: le immagini dei professor Robert Kelly, intervistato dalla BBC e platealmente interrotto dai suoi bambini, hanno fatto il giro del mondo. In realtà il video era del 2017 ma, in tempi in cui tutti si sono trovati nella stessa situazione, ha strappato un sorriso a milioni di persone. Ora ad un clima un po’ più informale ci siamo abituati, ma dividere la sfera familiare da quella lavorativa è un’esigenza concreta. E lavorare fuori casa, ma vicino, potrebbe essere per molti la giusta soluzione, anche per mantenere quel clima di socialità che è tipico dell’ufficio fisico.
Parallelamente, la soluzione proposta a Milano alleggerisce il traffico cittadino e viene incontro alle attività economiche straziate dalla crisi. «Il nostro obiettivo – spiega l’assessora alle Politiche del Lavoro, Attività Produttive e Risorse Umane del Comune di Milano, Cristina Tajani – è quello di avvicinare il luogo di lavoro alla propria abitazione. In questo modo si favorisce lo sviluppo di quartieri non più dormitorio, ma con servizi e nuove attività commerciali. Con conseguente risparmio di tempo e di emissioni derivanti dagli spostamenti obbligati. La sperimentazione – continua Tajani – si inserisce nel piano per ridisegnare i tempi della città. Un lavoro nato con l’emergenza Covid, ma che rappresenta un modello valido in sé, da proporre anche al settore privato, utile a migliorare la vita della città e la conciliazione tra tempi di vita e tempi di lavoro per i singoli individui».
Sarà una trasformazione che passa anche da un radicale ripensamento dei luoghi fisici del lavoro, non più intesi come fissi ma dinamici, indispensabili per favorire la diffusione di servizi locali di quartiere e di prossimità per i cittadini nonché a limitare i trasferimenti periferia-centro, contribuendo così a sviluppare una reale città policentrica e inclusiva. In quest’ottica, l’amministrazione si adopererà per individuare e verificare la disponibilità di spazi di proprietà del Comune, distribuiti in città, da utilizzare come sedi di nearworking. A ciò si aggiungerà la possibilità di valutare la disponibilità e l’utilizzo degli spazi di coworking già esistenti. Si sperimenterà poi anche l’opportunità di utilizzare sedi aziendali, anche appartenenti a società partecipate dal Comune di Milano, per i dipendenti dell’amministrazione in lavoro agile.
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