Meno ansia da performance e ambizione ridotta: il quite quitting investe soprattutto la Generazione Z
Complice la pandemia, e le nuove priorità delle persone, il mondo del lavoro sta cambiando anche nell’approccio alle attività quotidiane: la Generazione Z, in particolare, si sta misurando con il Quiet quitting, un fenomeno che vede le persone mettere decisamente in secondo piano il lavoro, per dar spazio alla vita privata e al tempo libero.
Ma non si tratta solo di una questione di quantità: la Generazione Z vuole dedicare meno ore al lavoro, ma soprattutto abbassare l’intensità del proprio sforzo.
Il Quiet quitting si sta diffondendo rapidamente tra le giovani generazioni, in risposta all’antico mito dello stakanovismo. La tendenza dei giovani del post-pandemia è quella di orientarsi verso un impegno non smodato nei confronti del proprio lavoro, arrivando a portare a termine il giusto indispensabile delle proprie attività. Stop alla reperibilità h 24, alla reattività nelle situazioni che richiedono urgenza e, purtroppo, anche alla dedizione.
L’espressione Quiet quitting, in sostanza, significa “lavorare il giusto”: mettere in pratica tutte le proprie competenze per sfruttare al massimo le ore previste dal contratto, per fare tutto ciò che rientra nelle proprie mansioni, senza ricorrere a straordinari, orari folli e reperibilità continua.
Il diffondersi del fenomeno viene interpretato come la risposta al burnout diffuso che si è registrato sull’onda della pandemia, con uno stress crescente e lo smart working che, per molti, ha voluto dire non spegnere mai il computer e andare in corto circuito per il troppo lavoro.
Il Quiet quitting non investe solo alcuni comparti, ma è trasversale a tutte le professioni, siano esse particolarmente faticose, piuttosto che di prestigio. Nemmeno un profumato guadagno, oggi, è in grado di fare la differenza rispetto alla quantità di impegno che un giovane mette nella professione.
Secondo il report State of the global workplace 2022 di Gallup, in Europa solo il 14% dei lavoratori dipendenti è davvero coinvolto nella propria attività lavorativa. Un dato che fa riflettere su quanta poca corrispondenza ci sia tra attitudini, aspirazioni personali, e professione svolta: troppo spesso le persone sono occupate in un lavoro che, in realtà, non risponde alle proprie inclinazioni o talenti e, pertanto, non le soddisfa.
Ma non solo: questa disaffezione al lavoro da parte della fascia giovane della popolazione va di pari passo con l’affermarsi di una visione sostenibile dello sviluppo sociale ed economico dei Paesi. Ciò che non viene vissuto come ‘utile’ al raggiungimento di questo obiettivo, non suscita motivazione, e produce un allontanamento dal proprio lavoro. I giovani si chiedono quali ragioni siano davvero in grado di giustificare un loro sacrificio maggiore rispetto al minimo richiesto.
Sempre la ricerca di Gallup evidenzia, inoltre, come il 39% del campione sperimenti vissuti di stress quotidiani, mettendo in luce un malessere psicologico diffuso.
Accrescere l’engagement dei giovani, però, non è impossibile: bisogna far leva sulla qualità delle relazioni con i colleghi di lavoro, sul valore del lavoro di squadra, costruendo team equilibrati in cui ognuno possa trovare il proprio spazio e una buona dose di libertà di espressione.
Senza dubbio il fenomeno porta a porsi delle domande rispetto all’epoca storica in cui viviamo, rispetto alle priorità della nostra quotidianità, e al valore del tempo. I sociologi stanno cercando di comprendere le ragioni alla base del Quiet quitting per restituire il giusto posto al lavoro nella vita di ognuno.
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