L’Agenzia delle Entrate ha confermato che i buoni pasto agli smart workers non rientrano nel reddito imponibile da lavoro
Se lo smart workingÈ una nuova modalità di svolgimento dell’attività lavorativa, introdotta dalla l. 81/2017 e caratterizzata dall’assenza di precisi vincoli di orario e di luogo di lavoro per il dipendente. More è stato uno dei temi del lavoro nell’ultimo anno di pandemia, quello dei buoni pasto è stato uno degli aspetti più dibattuti tra le aziende e gli smart workers.
Con l’introduzione del lavoro agile come modalità di lavoro standard e consigliata dal legislatore, sono sorte molteplici questioni riguardanti il diritto allo smart working, il diritto alla disconnessione, l’orario e la sicurezza del lavoro, in modalità agile, il rimborso delle spese per le utenze
Di recente l’Agenzia delle Entrate ha fornito un’importante risposta su uno dei temi più importanti dello smart working: i buoni pasto.
I buoni pasto sono un titolo di credito, cartaceo o elettronico, spendibile (fino ad un massimo di 8 al giorno) presso strutture convenzionate quali ristoranti, bar, supermercati e simili, che consente al titolare di ricevere un servizio sostitutivo di mensa di importo pari al valore del buono.
I buoni pasto sono personali e non cedibili.
No, ma c’è un limite massimo. Secondo l’articolo 51, comma 2, lettera c) del TuirTesto Unico Imposte sul Reddito che disciplina la tassazione dei redditi. More, non concorrono a formare il reddito del dipendente e dunque non sono soggetti a tassazione le prestazioni sostitutive del servizio mensa (ossia i buoni pasto) fino all’importo complessivo giornaliero di 4 euro, aumentato a 8 euro nel caso di buoni elettronici.
Secondo la Corte di CassazioneÈ l’organo di vertice della magistratura ordinaria italiana e rappresenta l’ultimo grado di giudizio ricorribile. Ad essa spetta, in via definitiva, l’ultima parola sulla legittimità o meno di una sentenza. More, il buono pasto, se non previsto diversamente nel contratto individuale o collettivo, non rientra negli elementi della retribuzione e ha natura assistenziale (sentenza n. 31337 del 28 novembre 2019)
È uno dei primi interrogativi avanzati dagli smart workers. La questione è stata posta nel momento in cui le aziende hanno smesso di riconoscere i buoni pasto ai lavoratori che lavoravano da casa.
Secondo una prima sentenza del Tribunale di Venezia, se per definizione lo smart worker può organizzare il proprio tempo di lavoro presso la propria residenza, non sussistono i presupposti continuare a richiedere i buoni pasto. Ciò non toglie, tuttavia, che le aziende possano continuare a corrispondere liberamente i buoni pasto ai propri lavoratori da casa.
Sì, è questa la risposta fornita recentemente dall’Agenzia delle Entrate.
Nel caso in cui la società continui a riconoscere i buoni pasto anche ai dipendenti che lavorano da casa, su questi importi non deve pagare tasse e contributi.
La risposta contiene un passaggio importante: secondo l’Agenzia delle Entrate i buoni pasto sono esentasse a prescindere dall’orario lavorativo osservato dal dipendente e dunque indipendentemente dal fatto che, a seconda dell’organizzazione del lavoro, il dipendente debba o meno fare la pausa pranzo. Pertanto, secondo questa recentissima indicazione dell’Agenzia delle Entrate, il lavoratore in smart working può continuare ad usufruire dei buoni pasto, indipendentemente dall’orario di lavoro e se riesce o meno, ad effettuare la pausa pranzo. Sempre secondo l’Agenzia delle Entrate gli importi così riconosciuti (4 o 8 euro, moltiplicati per massimo 8 utilizzi giornalieri) non concorrono a formare il reddito del dipendente e dunque sono esenti da tasse e contributi.
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