Il licenziamento per insubordinazione

licenziamento per insubordinazione
(foto Shutterstock)

Il Tribunale di Pordenone conferma che il licenziamento per insubordinazione può essere adottato non solo in caso di rifiuto a svolgere le mansioni, ma anche nell’ipotesi di gravi violazioni che possano pregiudicare lo svolgimento del lavoro all’interno dell’organizzazione aziendale, in quanto creano un grave turbamento

Il Tribunale di Pordenone conferma che il licenziamento per insubordinazione può essere adottato non solo in caso di rifiuto a svolgere le mansioni, ma anche nell’ipotesi di gravi violazioni che possano pregiudicare lo svolgimento del lavoro all’interno dell’organizzazione aziendale, in quanto creano un grave turbamento (sentenza n. 126/2020).

L’insubordinazione è una grave forma di inadempimento degli obblighi del lavoratore. Il dipendente, infatti, nello svolgimento delle proprie mansioni, è tenuto ad osservare le direttive aziendali e dei propri superiori. Il Tribunale di Pordenone, riprendendo gli insegnamenti della Corte di Cassazione, ha ribadito che l’insubordinazione non si verifica solo in caso di inosservanza delle direttive, ma anche in caso di comportamenti tali da pregiudicare l’organizzazione aziendale e l’ambiente lavorativo.

Il caso

Un dipendente pubblica sul proprio profilo Facebook un post in cui descrive la situazione aziendale e il direttore del personale con toni macabri, arrivando a sperare che vengano “appesi a testa in giù”. Successivamente, lo stesso dipendente, in occasione di un colloquio, minaccia il proprio responsabile dinon fargliela passare liscia” perché “adesso non scherzo più”, con toni talmente minacciosi che “tutti i dipendenti presenti all’episodio ne riferivano alla direzione del personale precisando di essere preoccupati per la propria incolumità e chiedendo alla società di intervenire”. La società, verificata la gravità dei fatti, licenzia per giusta causa il dipendente.

Gli obblighi del lavoratore

Quali obblighi ha violato il dipendente nel caso citato?
I principali obblighi a carico del dipendente sono previsti dall’art.  2104 del codice civile.

Innanzitutto è previsto che “Il prestatore di lavoro deve usare la diligenza richiesta dalla natura della prestazione dovuta, dall’interesse dell’impresa”. Il lavoratore, inoltre, “Deve inoltre osservare le disposizioni per l’esecuzione e per la disciplina del lavoro impartite dall’imprenditore e dai collaboratori di questo dai quali gerarchicamente dipende”.

Il dipendente, dunque, deve rispettare le direttive e le indicazioni fornite dall’azienda per il tramite dei superiori gerarchici. E deve svolgere le prestazioni richieste con la diligenza propria delle attività lavorative svolte.

L’insubordinazione come rifiuto di svolgere le direttive aziendali

Se, come visto, il lavoratore è obbligato ad eseguire ciò che gli viene richiesto dai propri superiori, il mancato rispetto delle direttive datoriali costituisce un inadempimento. Si tratta più propriamente di insubordinazione, ossia il rifiuto di adempiere alle disposizioni impartite dai superiori. La giurisprudenza parla anche di “negazione pubblica e palese del dovere di obbedienza” o di “sfida aperta al potere direzionale del superiore”.

Un concetto più ampio di insubordinazione

Tuttavia, l’insubordinazione non si verifica solamente nei casi di plateale contestazione agli ordini impartiti o di inosservanza delle direttive.

Come ha confermato il Tribunale di Pordenone con la sentenza n. 126 del 17 dicembre 2020, l’insubordinazione “non può essere limitata al rifiuto di adempimento delle disposizioni dei superiori, ma implica necessariamente anche qualsiasi altro comportamento atto a pregiudicare l’esecuzione ed il corretto svolgimento delle direttive nel quadro della organizzazione aziendale”. Nel caso descritto non c’è stato alcun mancato rispetto delle direttive aziendali, ma il comportamento del lavoratore, rivolto al proprio superiore, ha rappresentato un grave turbamento.

Come si valuta il comportamento ai fini del licenziamento?

Non tutte le ipotesi di insubordinazione possono giustificare il licenziamento. L’insubordinazione, infatti, deve essere grave, tale da non ledere il vincolo fiduciario e non consentire più la prosecuzione del rapporto di lavoro subordinato. Come si valuta la gravità dell’insubordinazione? Si deve valutare non in astratto, ma in concreto e con riferimento alla posizione delle parti, al grado di affidabilità richiesto dalle specifiche mansioni del dipendente e con riguardo alla portata soggettiva del fatto, vale a dire all’intenzionalità o meno del comportamento.

 

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