La ricerca “Care 4 caregiver” realizzata da Jointly insieme a BCG dimostra che i caregiver in Italia sono in crescita, e hanno bisogno anche del welfare aziendale
Prendersi cura di chi si prende cura, anche sul lavoro: è questo senza dubbio uno degli obiettivi che il welfare aziendaleÈ l’insieme di benefit e prestazioni che un datore di lavoro riconosce ai suoi dipendenti, in aggiunta alla normale retribuzione, con lo scopo di migliorarne la qualità della vita privata e professionale. More è chiamato a perseguire nell’ambito della sua azione sociale, favorendo lo sviluppo di politiche di sostegno ai lavoratori che non si esauriscano nel solo ricorso a benefici di tipo economico, ma integrino anche azioni volte al benessere a 360 gradi.
A fronte degli oltre 7 milioni di caregiver presenti oggi in Italia, a occuparsi di un familiare non autosufficiente è più di 1 lavoratore su 3 (il 38%) che, spesso, lo fa in prima persona senza poter contare sull’aiuto di nessun altro, a meno di non avere la possibilità di rivolgersi a strutture private (33% dei casi) mentre solo 1 su 4 accede a strutture pubbliche.
In questo scenario, i costi per i caregiver familiari diventano spesso poco sostenibili: secondo la ricerca “Care 4 caregiver” realizzata congiuntamente da Boston Consulting Group e Jointly sui bisogni dei lavoratori che si occupano di un familiare disabile, infatti, per quasi 2 caregiver su 10 (17%) la media di spesa per prendersi cura del proprio caro si aggira intorno ai 10.000 euro all’anno, costi ai quali si fa fronte con risorse che, nella maggior parte dei casi, provengono da fondi personali o familiari.
“Ma il carico economico rappresenta solo uno degli effetti che l’occuparsi di un familiare non autosufficiente comporta – spiega Francesca Rizzi, CEO e Co-founder di Jointly – e spesso non è nemmeno il principale.
Quando si vivono situazioni di questo tipo, le difficoltà da affrontare sono molte, non solo per riuscire a garantire tutto l’impegno e l’assistenza necessaria, ma spesso anche per orientarsi e trovare gli strumenti più efficaci da mettere in campo. A questo si aggiunge anche il carico dal punto di vista mentale e psicologico oltre alla difficoltà di conciliare la cura del familiare con gli altri impegni lavorativi e con la propria vita privata”.
Tornando allo studio “Care 4 caregiver”, infatti, quasi un lavoratore caregiver su tre (30%) dedica almeno 14 ore alla settimana alla cura del proprio familiare, più di uno su due (56%) vorrebbe avere la possibilità di “staccare dal lavoro di cura”, mentre il 44% di loro sente di aver bisogno di un sostegno piscologico.
“Ed è proprio a questa richiesta di aiuto – prosegue Francesca Rizzi – che è necessario che il welfare, anche quello privato, sappia dare una risposta, in termini, quindi, non solo di puro sostegno economico, ma anche andando a individuare soluzioni di welfare integrato che consentano di sollevare il prestatore di cura da tanti altri punti di vista: da quello psicologico, ma anche da quello di tipo più logistico amministrativo, per evitare il rischio di un burn-out e favorire una gestione dei propri impegni professionali, di cura, familiari che sia il più soddisfacente possibile“.
L’offerta di servizi che possono aiutare le aziende a sostenere i propri lavoratori caregiver va intesa quindi in maniera ampia: dagli sportelli di orientamento sui servizi disponibili e sulle procedure burocratiche da attivare, all’individuazione delle strutture più appropriate per la gestione della patologia del proprio caro, fino ai gruppi di auto-aiuto che, grazie allo sviluppo di piattaforme di networking e condivisione di esperienze, offrono la possibilità di confrontare la propria esperienza con quella di altre persone che vivono le stesse situazioni.
“Se anche a livello pubblico si registra una sempre maggiore sensibilità verso il tema della cura della non autosufficienza, come dimostrano sia il recente DdL Anziani, sia il disegno di legge delega per la semplificazione dei procedimenti amministrativi a carico dei familiari che assistono congiunti con disabilità e anziani non autosufficienti – conclude Francesca Rizzi, CEO e Co-founder di Jointly – anche il welfare aziendale è chiamato a fare la propria parte ideando soluzioni innovative che siano in grado di rispondere in maniera efficace ai bisogni espresso da una categoria di lavoratori che, anche alla luce del cosiddetto inverno demografico, non può che essere destinata a crescere”.
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