La pensione minima è una somma a cui hanno diritto i lavoratori per poter vivere in modo dignitoso. A chi spetta, a quanto ammonta e come si calcola
La pensione minima è stata introdotta per tutelare i pensionati che hanno maturato il diritto alla pensione, ma che riceverebbero una somma al di sotto di una determinata soglia di reddito che lo Stato fissa come minimo per garantire una vita dignitosa. Se la pensione è più bassa di questa cifra, si ha diritto a un’integrazione.
In altre parole, l’importo della pensione non può essere più basso di una determinata soglia. Chi è in pensione e riceve una cifra più bassa riceve un assegno integrativo dall’INPS e raggiunge così la pensione minima.
L’importo minimo per avere una vita dignitosa varia ogni anno, perché è collegato alle variazioni dell’Indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati ISTAT. Questa variazione permette di adeguare annualmente la cifra in base al costo della vita.
La prima cosa da chiarire è che non è una misura che spetta a tutti. Essendo un’integrazione, spetta solamente a chi ha raggiunto i requisiti per la pensione di vecchiaia, cioè 67 anni d’età anagrafica e 20 anni di contribuzione.
Quindi, per fare un esempio, Tizio ha 67 anni e nella sua vita lavorativa ha accumulato 10 anni di contributi. A Tizio, in questo caso non spetterà la pensione minima.
Per poter accedere alla minima, poi, non solo si deve essere titolare di pensione ma anche averne una bassa.
Tuttavia, non tutte le tipologie possono essere integrate. Rientrano nella disciplina:
L’integrazione al minimo non si applica a quelle raggiunte solamente con il sistema contributivo (e quindi per coloro che hanno iniziato a lavorare dal 1° gennaio 1996).
Infine, anche chi ha aderito a opzione donna può richiedere l’integrazione.
Non c’è un importo uguale per tutti i casi.
Chi ha raggiunto la pensione con il sistema retributivo e riceve una somma inferiore a 563,73 euro, può ricevere l’integrazione che gli permetterà di raggiungere tale importo.
Chi invece ha un reddito pari al doppio del trattamento, quindi di 14.656,98 euro, l’integrazione è prevista solo in misura parziale.
Un altro aspetto da considerare nel calcolo dell’integrazione è la situazione personale familiare del pensionato. Infatti, i criteri cambiano se la persona è coniugata o meno.
Se il pensionato non è sposato o è separato, il limite di reddito per avere l’integrazione intera è di 6,829,94 euro annui (7.328,49 euro nel 2023).
Per chi percepisce un reddito superiore, ma inferiore a 13.659,88 euro all’anno (14.656,98 euro nel 2023), è prevista l’integrazione parziale. Con un reddito più alto di questo limite, non c’è alcuna integrazione.
Se il pensionato è sposato, ai fini del calcolo dell’integrazione al minimo si considerano anche i redditi del coniuge. Tuttavia, bisogna verificare se la pensione è cominciata nel 1994 oppure in un momento successivo. Se è antecedente ci si basa solamente sui redditi individuali.
Nel caso in cui il pensionato prenda l’assegno pensionistico da dopo il 1994, ci sono due requisiti per poter ottenere l’integrazione:
Per coloro che sono andati in pensione nel 1994, il limite di reddito coniugale è pari a 5 volte il trattamento minimo (34.149,70 euro per il 2022).
Ai fini del calcolo dei redditi individuali o coniugali non sono da considerare:
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